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sabato 18 maggio 2024 | 23:54
 Nr.14 del 11/06/2007
 
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DUE GIOIELLI DEL DELTA DEL PO



  



  


L'ASPARAGO


È una pianta perenne e vivace che ha origini antichissime. Le sue radici vengono ricoperte di terra alla fine dell'inverno, per fornire a primavera giovani germogli, detti turioni, raccolti e consumati freschi o in scatola. Perché sono loro la parte commestibile della pianta.
Proveniente dall'Asia, entrò in coltura circa 4 mila anni fa. Graffiti e affreschi testimoniano che, da qui, se ne è diffusa la coltivazione nel bacino del Mediterraneo, dove è giunta (forse) attraverso l'Egitto.
Fu il filosofo greco Teofrasto a darci il primo documento letterario che parla dell'asparago. Ma sarà solo Catone, un secolo più tardi, che tratterà l'argomento sotto il profilo agronomico riferendo il "modo come si pianta l'asparago". Una descrizione che si è ritenuta valida fino all'inizio del secolo XVIII. Fu in questo secolo che la tecnica di coltura conobbe una svolta: in Olanda, Belgio e Francia fece la sua comparsa e si diffuse, assai rapidamente, una razza di asparago molto più produttiva e qualitativamente superiore a quelle esistenti: l'asparago di Olanda. Si propagò velocemente anche in Italia. Ad esso seguì una nuova razza: l'asparago di Argenteuil da cui sono poi derivate numerose sottorazze.
Poiché l'asparago ama i terreni sabbiosi, freschi ma non eccessivamente umidi, con contributo calcareo non troppo elevato, un terreno particolarmente vocato a tale coltura è quello di Mésola, centro agricolo e capoluogo di comune che sorge su un cordone sabbioso costiero depositatosi tra il X e il XIII secolo, sulla destra del Po di Goro. In provincia di Ferrara. Qui l'asparago è di casa. Perché ha trovato nei terreni sabbiosi del Delta, il proprio ambiente ideale. Di più: è considerato l'Oro di Mésola. Ogni anno, si tiene qui la "Festa dell'asparago". Anche quest'anno, dal 25 aprile e per una intera settimana, si terrà la XVII edizione nella spettacolare cornice del Castello Estense, eretto nel 1578-1583. Gli imprenditori mesolani e dei dintorni, presenteranno le loro produzioni di eccellenza allestite in un variegato mercato con tante specialità enogastronomiche. A base di asparago naturalmente. Perché il 60 per cento della produzione di asparagi (tutti a turione verde) dell'Emilia Romagna si concentra qui, in provincia di Ferrara e fra i comuni del Parco: Argenta e Comacchio, Codigoro, Mésola e Ostellato.


IL MUSEO DEL TERRITORIO



Da Mésola, transitando sulla Romea, passando per la solitudine della Abazia di Pomposa (dell'874), si giunge ad Ostellato. Siamo in pieno Mezzano. Un paesaggio agrario unico nel ferrarese. E in Italia. Sono 18 mila ettari di campi coltivati, prosciugati nei primi anni Sessanta, oggi una distesa di lunghissimi campi coltivati, e rettilinei canali di scolo e di irrigazione che suddividono geometrici riquadri di coltivazioni dai colori diversi. Vanno a formare un paesaggio suggestivo, privo com'è di qualsiasi edificio o manufatto fin dove l'occhio si può spingere.
Sempre ad Ostellato si è ulteriormente ampliata una pur già ricca offerta culturale, con l'apertura dell'MdT, il Museo del Territorio. Costato oltre un milione e mezzo di euro. Sorto grazie al lavoro dell'amministrazione comunale in collaborazione con l'Università di Ferrara. Un museo tramite il quale si può fare un viaggio nel tempo. Perché qui è stata adottata ogni e qualsiasi potenzialità offerta dalle moderne tecnologie: scenografie dinamiche ed interattive. Rappresentazioni plastiche e grafiche, filmografiche e multimediali. È un viaggio straordinario che ci accompagna nel suggestivo itinerario dalla nascita dell'Universo, sino alle bonifiche del territorio ferrarese. Come dire: dal Big Bang ad oggi, in un cammino di 14 miliardi di anni. Nel quale si narra la storia della origine dell'uomo. E del territorio nel quale egli era inserito. E lo si fa con un percorso espositivo che si snoda sui due livelli della struttura. Al piano terra, un viaggio nell'archeantropologia. Al piano superiore nella storia di questa parte del territorio ferrarese.
Ambedue i livelli hanno il loro fascino, anche se con motivazioni diverse. Il piano terra spiega le nostre origini di uomini che affondano nel passato più lontano. Quando ancora i nostri antenati vivevano sugli alberi. Si nutrivano di frutti e di bacche. Quando dovevano far fronte ad un pericolo essi, che erano scimmie, non dovevano far altro che salire di qualche ramo. Sempre più in alto. Qui essi continuavano ad alimentarsi con un frutto. O una bacca. A meno che… nei paraggi, non ci fosse un rettile. Perché i rettili erano gli unici predatori dei nostri antenati. Un fatto, questo, che spiega (anche) perché, ancora oggi l'ofidiofobia è, insieme a quella dei ragni (aracnofobia), la più comune delle fobie legate agli animali. Che affonda in un passato che risale a cinquanta milioni di anni fa. Insomma, il terrore che abbiamo dei serpenti è scritto, fin dalla nascita, nel nostro cervello. E questo ha fatto la differenza. Perché il nostro apparato visivo sembra essere particolarmente adatto a «vedere serpenti», in quanto la guerra fra noi (i primati) e i serpenti è iniziata prestissimo, quando i dinosauri non esistevano più. I nostri antenati (che erano molto più piccoli di noi) sarebbero vissuti tranquillamente sugli alberi. Non c'erano predatori in grado di seguirli fin sui rami più alti. Con una unica eccezione: i serpenti velenosi. Apparsi 60 milioni di anni fa. Forse proprio per cacciare i mammiferi più agili. E i serpenti devono aver tormentato non poco l'esistenza dei nostri antenati. Lasciando che sopravvivessero solo quelli che li evitavano grazie ad un terrore innato. Il quale, di generazione in generazione, è arrivato sino a noi.
Dice l'antropologa americana Lynne Isbell, della Università della California, che se noi oggi siamo capaci di leggere o di compiere altre attività che ri–chiedono una ottima vista ravvicinata, lo dobbiamo alla necessità di scoprire i serpenti.
Ben diverso il discorso quando i nostri primi antenati scesero dagli alberi per vivere a terra. Essi cambiarono stile di vita: iniziarono a nutrirsi di carne. Dovettero smettere di colpo di correre in giro per trovare un riparo. Furono invece costretti a far fronte a pericolosi rivali e prede.
La storia del genere umano è una continua lotta per la sopravvivenza. O meglio, la storia dell'uomo è scandita dalla sua capacità di adattarsi all'ambiente nel quale si è trovato a vivere. E alla dieta alimentare che è stato costretto a seguire in funzione del luogo nel quale si trovava ad operare.
La vita dei nostri antenati aveva tre caratteristiche: breve, dura, rozza. I loro antagonisti nella catena alimentare erano forti e agili. Soprattutto veloci. I nostri antenati avevano però una qualità che li contraddistingueva: una istintiva furbizia. Che, nel tempo, si sarebbe poi mutata in pensiero ragionato. Ma erano dotati anche di un qualcosa di così importante che avrebbe fatto poi la vera differenza: le mani provviste di un pollice in grado di opporsi alle altre dita. E quindi in grado si svolgere un lavoro.
Tra i primati l'uomo (genere homo) appare circa 3 milioni di anni fa. L'Homo abilis è la specie più antica. L'Herectus scopre il fuoco. Poi arriva l'Homo sapiens arcaico. Gli uomini di Neanderthal che erano già evoluti in homo sapiens, risalgono a 80 mila anni fa. Con la comparsa di Cro-Magnon, 40 mila anni fa, i nostri avi si trasformarono nei predatori più temibili della Terra. Iniziarono a cacciare in gruppi organizzati. In una caccia primordiale, animalesca, nella quale gli inseguitori e la preda che corre per la sua vita, sono forti solo delle loro gambe e del loro istinto di sopravvivenza. Ben presto furono in grado di costruire armi. E di usare utensili. Abili e astuti, coraggiosi e determinati, quegli uomini non ebbero più nulla (o quasi) da temere dagli altri animali. Perché raggiunsero la vetta nella lista dei predatori.
Ecco, questa è solo una parte di tutte le affascinanti storie legate alla evoluzione dei nostri antenati che si trovano qui, in questo innovativo Museo del Territorio.
Questa estate, nell'ultimo fine settimana di giugno, verrà ospitata qui una mostra per ipovedenti e non vedenti. Diversi partners europei attiveranno strumenti didattici che faranno "vedere l'arte" tramite repliche tattili: opere d'arte parietali di età preistorica e materiali geologici tattili del suolo di Isernia e della antica città di Spina (Ferrara). Vi saranno anche modelli di crani dell'uomo nelle varie età evolutive e altri prototipi tattili.
La gestione del museo è stata affidata a Verdedelta Service. Informazioni allo 0533 68 13 68; 681359; fax 68 30 82; info@verdedelta.com; www.verdedelta.com


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