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 Edizione del 18/12/2015
 
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Alessandro Botturi si prepara per la Dakar
Il pluripremiato motociclista bresciano ci racconta i suoi successi sui terreni di tutto il mondo in sella all’inseparabile amica a due ruote
Leggi l'articolo completo in forma testuale ( clicca qui )



Alessandro Botturi si prepara per la Dakar
( VERSIONE TESTUALE )

Siamo ormai prossimi alla gara dell’anno, innanzitutto come ti sei avvicinato a questo evento?
Siamo a poche settimane dall’evento più importante della stagione. Durante l’anno ci sono si altre competizioni, ma la gara delle gare rimane comunque la Dakar, per la quale si lavora tutto l’anno per arrivare il più in forma possibile. Sono comunque soddisfatto perché nelle ultime gare internazionali sono arrivato terzo in Turchia alla Transanatolia e poi secondo assoluto ai Campionati Italiani dove ho fatto due piccoli errori che mi sono costati la vittoria. Il 30 settembre sono partito per il Marocco, dove ho corso il Merzouga Rally vincendolo, e ne ho approfittato per allenarmi tra le dune di sabbia. Dopo di che sono tornato a casa, dove ho fatto gli ultimi controlli tecnici alla moto e ho cominciato la preparazione fisica per un mesetto. A fine novembre sono tornato di nuovo una settimana nel deserto del Nord Africa per allenarmi e prendere confidenza con il deserto, terreno che alla Dakar sarà fondamentale gestire. Il 28 dicembre partirò finalmente in Sud America, dove il 2 gennaio si svolgerà il prologo.

Come affronti la Dakar e perché hai deciso di passare dall’enduro ai rally?
La Dakar è una gara molto complicata. Si sa che quando si scende dalla pedana di partenza si soffre e per quindici giorni si va incontro a tutto. Mi piace l’avventura della Dakar perché è sempre stato il mio sogno sin da quando ero ragazzino, ho sempre seguito motociclisti come Fabrizio Meoni, Marc Coma e Ciryl Depres, fonti di ispirazione per me. Quando facevo Enduro mi ero ripromesso che prima di smettere avrei partecipato ad una Dakar. Ho fatto tanti anni l’enduro e secondo me ero arrivato al capolinea. Mentalmente non mi sentivo più di poter fare altro: avevo vinto dieci titoli italiani, due mondiali a squadre ed ero andato vicino a vincere dei mondiali individuali, dove sono arrivato terzo tre volte. L’ultimo anno in cui ho fatto Enduro ero ancora al vertice quindi sono passato ai Rally africani quando ero ancora bello tonico. La prima edizione della Dakar che ho corso sono riuscito ad entrare nella top ten, arrivando ottavo, risultato che mi ha permesso in seguito di entrare in una squadra ufficiale come la Husqvarna. Ora gareggio per la Yamaha, con l’obiettivo, in questi due anni di contratto, di provare a fare qualcosa di importante. So che non è facile: sono ormai vent’anni che un italiano non vince una Dakar, ma ho fiducia in un buon risultato, anche se siamo in quindici piloti che potenzialmente potrebbero vincere.

Da chi sarai supportato in questa esperienza?
In questa avventura sarò supportato dalla Yamaha, all’interno del team francese. Ho però tanti sponsor che desidero ringraziare, soprattutto le aziende cosiddette della “porta accanto”: IVAR (Stefano e Paolo Bertolotti), PZM pressofusioni di Zobbio Marsilio, TIEMME dei Fratelli Gnutti, che sono anni che mi rinnovano la loro fiducia, l’immancabile DALLERA, che mi segue fin dagli esordi, la METAL CLIN di Zipponi Ivano, IDROSANITARIA BONOMI, GIACOMO MARTINELLI, ALBATECH, PROPLAST, ZIPPOPIÙ , MOZZARELLIFICIO VALTROMPIA e NEW FOR, che sono passati da essere amici di famiglia a miei sostenitori. E infine da non dimenticare la Famiglia Bugatti con il MotoClub Lumezzane.
Cosa conservi delle ultime edizioni?
Non sono stato molto fortunato. Tra le mie ultime esperienze ricordo in particolare quella dell’anno scorso. Eravamo all’undicesima tappa e mancavano quattro giorni alla fine. Correvamo in Bolivia, nei pressi del Salar de Uyuni (il più grande lago salato del mondo che è caratterizzato da periodi di secca). Pioveva e quella tappa non avremmo dovuto correrla. Eravamo tutti d’accordo, perché era una situazione inadatta per entrare nel Salar, tuttavia ci hanno fatto gareggiare lo stesso. Alla fine hanno rotto in quaranta...Anche quest’anno ci ripasseremo, però è stato proprio un peccato, perché in Bolivia ci sono le mie tappe preferite, si va in altura, dove quello che conta è essere in forma fisicamente. Mi sento a mio agio in situazioni pericolose. I terreni che invece preferisco meno sono quelli del Cile, perché mi trovo meglio in terreni sassosi, più scavati, nervosi. In Cile ci sono molte dune, tanta sabbia, e mi risulta più faticoso avanzare. Nelle tappe cilene è più avvantaggiato il mio amico Francisco “Chaleco” López, uno dei personaggi sportivi più amati in Cile. E’ il Valentino Rossi del Cile, trovi il suo volto stampato da tutte le parti! Tempo fa è pure stato una settimana a casa mia ad allenarsi. Per far fronte a questo mio punto debole talvolta vado ad allenarmi nel Nord Africa per abituarmi alla sabbia. Ma ci vado solo per brevi periodi e di certo non è come viverci. Invece quando trovo mulattiere e sassi sono io l’avvantaggiato perché vengo dall’Enduro e qui in Italia faccio gare (come il Rally di Sardegna), dove il terreno è proprio di questo tipo.

Qual è il tuo rapporto con il pericolo?
Non ho un rapporto vero e proprio con il rischio. Semplicemente non ci penso. Quando sei preparato e allenato bene ti fidi di te stesso e non pensi alla possibilità di cadere o ai pericoli. So bene che è una gara molto rischiosa e purtroppo negli anni si sono registrate tante vittime. Il rischio c’è, ma non lo vuoi calcolare perché alla fine ti senti forte. Quando lo vuoi fare è perché ti senti di farlo. Comunque un po’ di tensione e nervosismo servono sempre perché aiutano a rimanere reattivo. Il mio motto è: rispetto di tutti, ma paura di nessuno.
La gara della Dakar mi prova moltissimo sia mentalmente che fisicamente, ma mi accorgo che più soffro e più mi piace. Prima era diverso, volevo la velocità. Ora gli allenamenti sono cambiati. Prima andavo in moto, curavo il tempo, essere più veloce possibile in curva, mentre ora gli allenamenti si sono allungati. Prima, facendo gare corte, stare in sella per un’ora era faticoso, ora, abituato a gare più lunghe, faccio meno fatica.

Un saluto…
Innanzitutto auguro felici feste e poi ringrazio le persone che mi hanno sempre supportato, in modo particolare mia moglie e mia mamma, le mie prime sostenitrici. Sto via tanto durante l’anno, manco molto da casa per la mia attività e non me lo fa pesare nessuno e anzi, è uno stimolo per tutti.

Francesco Bossini


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