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 Nr.16 del 25/06/2007
 
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Garibaldi: un mito che ritorna
Mi sembra un secolo fa quando prendevo fra le mani delle barrette di una merendina di riso soffiato, se non erro il Ciocorì, e trovavo sul retro delle immagini molto affascinanti, policrome, che rappresentavano momenti e figure del Risorgimento italiano, con un implicito invito a collezionarle


  


Pochi anni dopo, nel 1961, il centenario dell’Unità fu festeggiato, nella mia prospettiva poco più che infantile, da una collezione di figurine, se non erro dell’eterna Panini: tra le tappe del Risorgimento rifulgeva l’impresa dei Mille e di Garibaldi con la sua casacca rossa.
Poi, nel volgere degli anni, la partecipazione alla vita sociale mi ha spinto, anzi vorrei dire ci ha spinti, parlando in generale della mia generazione, a schierarci per una visione più disincantata di quel processo storico; convinti della necessità di una maggiore condivisione della gestione della vita pubblica, abbiamo richiesto la realizzazione di quell’istituto delle regioni presente nella Costituzione ma poi rimasto sulla carta, come molte altre ottime idee dei cosiddetti padri costituenti. Idee che erano state dimenticate quasi nello stesso momento in cui venivano approvate e promulgate come documento fondamentale di questo stato.
Il volgere degli ultimi due decenni del XX secolo ha poi visto emergere un crescente revisionismo politico e ideologico che, proponendo modelli federalistici e avanzando un’interpretazione quasi revanscista della storia dell’Ottocento, ha di fatto messo in discussione non solo le contraddizioni insite in quello come in ogni altro processo storico, ma la stessa ragion d’essere del processo d’unificazione della penisola.

In questa prospettiva la pubblicazione di una serie di volumi dai titoli più o meno accattivanti, come « Indietro Savoia » o « Maledetti Savoia », al di là del loro specifico valore storiografico, evidenzia un clima negazionista che crediamo non faccia bene né a una disamina storica ponderata degli avvenimenti e delle tragedie di quei decenni della seconda metà del XIX° secolo né ad un attuale dialogo civile e razionale.
Ecco perchè ci sembra utile, in questo 2007, che sia data adeguata veste culturale alla celebrazione ufficiale del 200° anniversario della nascita di Giuseppe Garibaldi. Si tratta di un’occasione molto originale e ghiotta per ripensare la figura dell’Eroe dei due Mondi. Ancora una volta Brescia ha mostrato di essere all’altezza della sua ambizione di porsi come polo culturale con una dimensione nazionale: una serie di fortunate coincidenze ha consentito, infatti, alle istituzioni locali, Comune di Brescia e Provincia, di organizzare una mostra di notevole rilevanza storica, che ben s’iscrive nella cornice dello spazio museale di Santa Giulia e che continuerà a essere visitabile fino all’8 luglio 2007.
Dicevamo una fortunata serie di coincidenze: infatti, il prefetto di Brescia, dott. Francesco Paolo Tronca, legato per antiche memorie famigliari all’epopea dei Mille, ha iniziato alcuni decenni fa a collezionare memorie di Garibaldi e dei Mille. Ne è uscita una raccolta di molte centinaia di rari reperti che costituisce una fra le più interessanti e ricche collezioni private italiane su questo tema. Il prefetto della città ha voluto far dono ai suoi concittadini della visione di questi oggetti che costituiscono un importante spaccato della realtà storica, epica e agiografica di una certa Italia e ci restituiscono l’immagine di un Paese che, superate secolari divisioni, veniva assumendo un volto unitario sul piano sia politico che culturale.
La mostra è strutturata in otto sezioni: si parte dalla spiegazione delle “motivazioni ideali e culturali che hanno portato alla nascita di questa sorprendente raccolta di materiali garibaldini”, si procede poi con sezioni dedicate alla «Nascita e costituzione del mito», a «L’apoteosi dell’eroe» nella spedizione dei Mille, a «La moltiplicazione dell’immagine dell’eroe» e alle fasi successive della sua avventura «Da Aspromonte a Caprera», per terminare con una sezione dedicata a «Garibaldi nel racconto popolare e negli oggetti di uso comune». Insomma, come indicano i titoli di alcune delle sezioni, un’indagine a 360 gradi intorno alla figura di Garibaldi.
Per chi non potrà di visitare la mostra rimane però la possibilità di leggere e ammirare il catalogo «Garibaldi. Le immagini del mito nella collezione Tronca», pubblicato dalla Grafo (2007): il volume, oltre a un ricchissimo corredo di immagini, che supera gli stessi confini degli oggetti esposti allargandosi a tutta la collezione del dott. Tronca, presenta una serie di pregevoli saggi che ben illustrano le caratteristiche peculiari della raccolta e la sua valenza culturale. Si tratta di interventi di Cesare Calamandrei, Philippe Daverio, Luigi Ficacci, Massimo Fino, Antonella Fusco e numerosi altri autori che lumeggiano aspetti della figura di Garibaldi spesso poco noti e studiati. Solo per citare un caso, può capitare, vistando le sale della mostra, di trovarsi di fronte a una statua che raffigura Garibaldi e Manzoni e chiedersi: dove è il nesso?
Il prof. Giuseppe Langella in un suo dotto intervento ci ricorda la visita che il 25 marzo del 1862 Garibaldi, di passaggio per Milano, ha compiuto al «primo scrittore d’Italia» e di qui l’autore ci guida in un’interessante disamina dei rapporti, non tanto umani quanto culturali, fra due figure così diverse ma nel contempo così complementari nell’opera di costruzione dell’Italia unita.
Fu quella di Cavour, Mazzini, Vittorio Emanuele II e Garibaldi vera gloria? Certo ciascuno di loro era ben cosciente della complessa realtà in cui viveva e dei fenomeni che andava affrontando. Spesso le scelte compiute sono state tali da innescare processi insieme esaltanti e fortemente contraddittori. Ciò nonostante è a questi personaggi che dobbiamo l’ingresso dell’Italia nel consesso delle realtà economicamente e socialmente più avanzate dell’Europa del tardo XIX° secolo. In alcuni casi i costi di questo processo sono stati alti e nessuno che voglia valutarli secondo un principio di verità può dimenticarlo. Ma quale poteva essere l’altra strada? Solo quella di una crescente marginalizzazione della penisola, nel proseguimento di quel secolare processo storico di subordinazione dell’Italia alle maggiori potenze europee, che almeno dal Cinquecento facevano strame dell’Italia.
La parabola di Garibaldi, le passioni che è riuscito a generare, sia nella penisola sia fuori di essa, hanno, crediamo, un significato che va riconosciuto al di là di ogni pregiudizio ideologico. Garibaldi riuscì più e più volte a generare, in una Italia estremamente arretrata, vivide speranze di progresso, di libertà, di emancipazione, non solo per il mondo borghese liberale ma perfino per quei ceti marginali e subordinati che erano allora sostanzialmente estranei al divenire storico. Molte di queste speranze furono sul breve deluse, altre trasformate in gadget ideologici ad opera di coloro che presero saldamente il potere alla conclusione della fase eroica del Risorgimento. Ciò nonostante il suo nome rimase un simbolo, un monito, uno stimolo per riprendere la lotta dal punto in cui era stata fermata dalle oggettive contraddizioni del momento. Garibaldi non si è mai arreso, se non di fronte al limite estremo della vita stessa...
Per questo motivo la sua esperienza non solo riveste interesse come memoria storica, ma può perfino costituire uno stimolo per avviare la riflessione su di noi oggi, di fronte al tramonto di tante speranze e alle difficoltà di un presente che, per essere affrontato in modo vincente, richiede quel coraggio e quella lungimiranza che a lui non vennero mai meno.

Giulio Toffoli


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