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 Edizione del 22/04/2016
 
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L’enigma Pankov-Bertussi
''Nel periodi di rivoluzione, sono i migliori che muoiono. La legge del sacrificio fa sì, che alla fine siano sempre i vili e i prudenti ad avere parola, perché gli altri l’hanno perduta, dando il meglio di sé. Parlare, suppone sempre aver tradito.'' (Albert Camus)
Leggi l'articolo completo in forma testuale ( clicca qui )



L’enigma Pankov-Bertussi
( VERSIONE TESTUALE )

Camus, autore della “Peste” e dello “Straniero”, è uno dei più grandi scrittori del Novecento, ciò non implica che la sua invettiva, debba obbligatoriamente essere condivisa.
Purtroppo, durante la resistenza in Valtrompia, alcuni fatti, nella fattispecie quelli riguardanti la morte di Nikola Pnkov comandante del gruppo dei partigiani russi, e datata solo il giorno prima, la morte di Francesco Bertussi detto “Cecco” (promotore della guerriglia in valle), mi hanno spinto a pensare (dopo svariate letture e rare testimonianze), che, su quelle due morti, aleggi qualcosa di non completamente chiaro.
Secondo la storia ufficiale, ai primi di settembre del 1944, Pankov l’uomo che fino al mese prima era considerato un eroe della Resistenza in Valtrompia, viene accusato e processato in “contumacia” da tutti i comandanti delle brigate partigiane operanti nella valle. (Secondo quella ufficiosa, si parla di una decisione unilaterale presa da un commissario politico, che dà mandato di eseguire la sentenza di soppressione a chiunque, della nascitura 122ma Brigata Garibaldi, abbia modo di eseguirla).
Pankov, separato dai suoi uomini a causa di un rastrellamento sotto la Corna Blacca, riesce a sgusciare insieme al compagno Michele tra le maglie dei Nazifascisti ed a ritornare a Marcheno, in quella che veniva chiamata “la contrada del ribelle”.
Si incontra nella casa dell’amico “Cecco” Bertussi (tra i due c’erano rapporti di sostegno e di fiducia reciproci e la casa era un punto nevralgico della Resistenza), con esponenti della Centoventiduesima Brigata Garibaldi, per avere delucidazioni sulla sentenza emessa nei suoi confronti. Ci sono state versioni discordanti (quasi tutti i testimoni sono morti) sulla discussione. L’unica giuntaci ufficialmente, è quella di una minaccia di ritorsione da parte di Nicola, qualora si fosse riunito ai suoi uomini. Di fatto quella stessa sera dopo la riunione, mentre Nicola e Michele aspettano che uno dei convenuti si unisca a loro (faceva parte del gruppo), sono oggetto di una sparatoria che ferisce gravemente il secondo e lievemente il primo che riesce, rispondendo al fuoco, a mettere in fuga gli aggressori. Nel campo delle congetture, probabilmente Nicola, in località Dosso (tra Aleno e Cesovo) veglia l’amico mortalmente ferito. Quello che sappiamo per certo, è che manda un messaggero a chiedere aiuto all’amico “Cecco”, il quale armatosi di bende, ma “stranamente” senza armi, si avvia al mattino presto per portare assistenza ai due russi.
Cosa successe veramente quel giorno di settembre alle ore otto, non lo sapremo mai. L’ultima testimonianza che ho raccolto, parla di una sparatoria, di uno scambio di colpi; ma come fu possibile, se il Bertussi era disarmato? O forse c’era qualcun altro, che voleva finire il lavoro cominciato la sera prima? Alcuni parlano di due proiettili sparati alla schiena del “Cecco” mentre era chino su Michele, più un terzo sparatogli a bruciapelo alla tempia, quasi una rabbiosa esecuzione. Se prendiamo per buona quest’ultima ipotesi, perché mai Nicola Pankov sapendo di essere braccato dai suoi ex compagni di Resistenza, gente coraggiosa e determinata, invece che fuggire e ricongiungersi al gruppo dei russi, si ferma a dormire a neanche due chilometri di distanza, nel fienile della casa del Paterlini in località Lembro, che tutti sapevano essere l’abitazione della sua fidanzata? E perché questi ex compagni, dopo aver spergiurato di non essere andati li per ucciderlo, lo fucilano alle spalle?
Io da poeta, non ho e non do risposte.
La poesia che segue, è frutto più della mia fantasia che delle notizie acquisite, ma la realtà spesso ha la stessa consistenza, ed è fatta della stessa materia dei sogni. Spero con tutto il cuore di essermi sbagliato, e che qualcuno che conosce la verità vera, confuti questi miei versi: sarò felice di riscriverli.

PANKOV DEI RUSSI

Non ci ho creduto, sai “Cecco”
neanche per un istante,
che tu mi avessi tradito.
Tovarisc che coglionata la guerra,
quanti uomini morti,
quanti eroi disarmati
traditi due volte.
Colpito alle spalle da sicari obbedienti,
sento la vita scorrere via
tra le pietre del torrente Lembro,
e le voci degli ex compagni nella notte
entrare come grani di sale
nelle ferite di un uomo
già ucciso dalle parole di una sentenza.
Accarezzo il mio sangue
che si rapprende sui sassi,
mentre penso a uomini come te
che avevano una sola parola.
Arrivederci amico, per altre Resistenze,
in altri luoghi, sotto altri cieli.


A distanza di circa dodici anni, secondo le ricerche di un professore e ricercatore di Villa Carcina, il vicecomandante Michele Opriocionuk, quando “Cecco” Bertussi si reca nella casa dove Michele ha ricevuto le prime cure, viene ucciso dallo stesso, con quattro colpi al corpo. Dopo aver ucciso il “Cecco”, Michele si punta la pistola alla tempia e si suicida. Secondo la testimonianza di un parente del Bertussi, che si recò sul luogo lo stesso giorno dell’omicidio, si parla di due colpi sparati alla schiena del “Cecco” e di un colpo sparato a bruciapelo alla testa. Nelle case adiacenti alla duplice morte, una persona che non aveva simpatia né per i fascisti né per i partigiani, mi raccontò che in una di quelle abitazioni, viveva la fidanzata di Luigi Guitti, detto Tito Tobegia. Per Il professore Marino Ruzzenenti un valente e coraggioso partigiano, per lo storico Santo Peli, un mezzo delinquente, coraggiosamente incosciente e istintivo. Nel seguito del colloquio, il ricercatore, mi racconta che i russi coinvolti nell’agguato erano quattro, e che tutti e quattro avevano le tasche piene di soldi. Viene detto, che i quattro pensavano di fuggire in Svizzera, ma in Svizzera ci sarebbero potuti andare subito dopo la fuga dai campi di lavoro della Wermacht, come avevano fatto altri loro compagni, e che la parola “Svizzera” era quella che avrebbe scatenato contro di loro l’azione dei partigiani di Tito Tobegia. Questo contrasta con la deposizione di Tito dopo la perquisizione del cadavere del Pankov, dopo che fu “giustiziato” fuori dalla casa del Paterlini, sita sulla sponda sinistra del torrente Lembro. Così descrive Tito gli oggetti tolti all’ucciso: “Un mitra, una pistola, un paio di scarponi, un cinghione, un orologio da polso, e un portafogli che non conteneva denaro.” O i partigiani si sono impossessati dei soldi dei russi rubandoli, o la storia dei soldi è palesemente falsa. E i soldi, i russi da chi li avrebbero presi? Dato che uno dei partigiani fra primi ad essere uccisi, fu un russo giustiziato dal comandante Pankov per aver sottratto viveri ad un malgaro senza averlo pagato. Secondo la storia ufficiale gli assassini del “Cecco” possono essere, o il Pankov, o Michele. Anche questo è in contraddizione con quello che anni fa, mi raccontò il figlio del Bertussi, Edmondo, il quale mi confessò di aver ricevuto una lettera il cui contenuto avrebbe dovuto visionare solo alla morte del latore della stessa, la quale conteneva il nome del vero assassino di suo padre.
Ma, se i nomi dei presunti sicari, già si conoscevano, che senso avrebbe la lettera? Ognuno di noi, se ha un po’ di sale in zucca, potrebbe pensare che la mia ipotesi sul fatto che potrebbero essere stati i fautori dell’agguato della sera precedente i veri colpevoli non sia poi così peregrina. C’è un altro fatto curioso riguardante il comandante Pankov, il professore universitario Santo Peli, mi raccontò circa tre anni fa, che il presidente della fondazione” Micheletti”, pare il Micheletti stesso, lo pregò di riscrivere i primi anni della lotta partigiana in Valtrompia, per riabilitare la figura dei russi e del comandante Pankov, per sua stessa ammissione trattato da “delinquente”, ladro, e grassatore, da un commissario politico, Leonardo Speziale, solo perché lo stesso si era rifiutato di essere comandato da una persona che lui considerava inadeguata a ricoprire il ruolo di coordinatore della guerriglia in Valtrompia. Dei quattro commissari che il partito comunista inviò in valle, l’unico che si meritò il rispetto di tutti i partigiani, e che probabilmente fu tradito dallo stesso CLN di Brescia, cui più volte aveva chiesto conto dei soldi raccolti per i vari gruppi partigiani, soldi che mai essi videro, risultò essere Giuseppe Verginella. Ma questa è un’altra storia. Vi lasciò con una poesia dedicata a Francesco Bertussi detto il “Cecco”.

IL “CECCO”
Ovvero, “la matita spezzata”.
Soldato di terra,
fante di guerra,
sei carretti di legna
e dieci pani di burro
ti riportarono a casa
dal fronte orientale.
Ma i soldi per te
erano storie di ieri,
l’oggi, era un carico di farina e fucili
da poter condividere.
Come le malghe del nonno,
covi di volpi striate di rosso,
affamate di mitra e di pane.
Partigiano per scelta,
per te era scontato
che a qualcuno toccasse
rivoltare la terra
e imbracciare le armi.
Il grano non cresce sui muri,
e la libertà non ti viene a cercare.
Venne l’estate del ’44,
un bombarolo anarchico
promosso comunista e commissario,
tracciava sulla carta
equazioni dalla soluzione incerta.
Lui era la mano e tu la matita,
scegliere col cuore
in tempo di guerra
ti costò la vita.

Il VALTROMPIASET-GIORNALE DELLA VALTROMPIA vi consiglia la visione del programma televisivo “BRICIOLE DI RESISTENZA IN VALTROMPIA” andato in onda su RTB NETWORK RETEBRESCIA - canale 72 - Sabato 16 e Domenica 17 Aprile 2016 alle ore 12. Potete rivedere la trasmissione su www.youtube.com / LA BELLA VALTROMPIA o sul sito www.televaltrompiaset.it / LA BELLA VALTROMPIA.
La trasmissione, condotta da PIERO GASPARINI, vede la qualificata presenza del poeta JO DALLERA e del Complesso folk I MALGHESET


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