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 Edizione del 27/05/2016
 
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''Fate la festa ai lavoratori!''
L’intreccio tra mafia, latifondisti e OSS, oggi CIA, comincia da lontano. I rapporti nascono prima dello sbarco alleato in Sicilia. Nel 1943, quando inglesi e americani mettono piede sull’isola, vengono accolti con entusiasmo da schiere di notabili, i quali chiedevano che la Sicilia diventasse uno stato autonomo.
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''Fate la festa ai lavoratori!''
( VERSIONE TESTUALE )

Era già nato il movimento per l’indipendenza, che nell’estate del 1945 tenne a battesimo “L’esercito volontario per l’indipendenza siciliana” a capo del quale i pupari misero il bandito Giuliano col grado di colonnello. L’idea del MIS, Movimento per l’indipendenza siciliana, era di chiedere l’appoggio degli occupanti, per fare in modo che tutto rimanesse come prima, tra i rapporti tra i grossi proprietari terreni e la classe contadina. Il governo militare di occupazione, forse riconoscente ai vari “padrini”, che avevano facilitato lo sbarco, nominò sindaci e vicesindaci alcuni mafiosi di rango, come Calogero Mannino e Giuseppe Genco Russo. I contatti e l’aiuto dei boss, furono resi possibili da Charles “Luckhy” Luciano, nike name di Salvatore Lucania, che viveva a New York, e che venne trasformato dall’Office of Naval Intelligence, da criminale in patriota. Parafrasando Kissinger: “Lucky” Luciano è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”. Con non molta fantasia l’America si era data della meretrice. Ma passiamo oltre. Agli inizi del 1946, a conflitto terminato, “Lucky” fu ricompensato con l’estradizione in Italia che lo rese un uomo libero. Il generale Castellano, losco figuro e vergogna dell’Esercito Italiano, con la complicità di Calogero Vizzini e di altri boss mafiosi, premette sul console americano Nester affinché la mafia venisse riconosciuta come indispensabile per il mantenimento dell’ordine nell’isola. Il diplomatico così riferì a Washington: “Il generale Castellano è fermamente convinto che il sistema adottato al tempo della vecchia e rispettabile mafia debba ritornare sulla scena siciliana, perché è l’unico in grado di controllare il banditismo e la violenza in generale. Una mafia che ha per obiettivo la pace e l’ordine, tanto che le forze di polizia si rivolgono abitualmente ai suoi capi per risolvere le situazioni più difficili”. Paradossalmente, la mafia passa da organizzazione criminale a falange patriottica. Nel 1954,il vescovo di Palermo Ernesto Ruffini, scriverà in un suo documento pastorale, che tra gli argomenti per diffamare la Sicilia c’era anche” Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa. Nel novembre del 1945, il console Nester, fu costretto ad ammettere, in un suo comunicato a Washington, che aver dato piena fiducia alla mafia, non ha dato i risultati sperati. La Sicilia infatti, nonostante la speranze, è attraversata in lungo e in largo da un’emergenza criminale. Nel frattempo, il colonnello Giuliano, il tacchino che voleva volare, forte dell’appoggio dei separatisti mafiosi, coprì i muri di Palermo e dei paesi limitrofi con manifesti che invitavano all’arruolamento. Questo il testo: “Popolo! Centomila lire al mese a chi vuole arruolarsi nella mia banda, nel nuovo esercito che si costituirà al solo scopo di lottare contro i nemici della libertà che hanno la sola forza del Governo nelle loro mani. State attenti, e bocca chiusa, perché spie possono insinuarsi per scoprirmi. Il modo di venire a me è quello di cercare la via tra gli amici che si riconoscono degni di appartenere a me”. La banda del bandito colonnello, nell’arco di tempo che va dal 18 gennaio 1946 al 29 dello steso mese, si macchia di due efferati delitti. Il primo del 18, ad opera sua, è l’attacco ad un autocarro che trasportava Carabinieri e soldati. Il camion viene attaccato con raffiche di mitra e bombe a mano. Periscono nell’agguato un carabiniere e tre soldati di fanteria. Il secondo, datato il 29, ha per protagonista la banda dei niscemenzi. Vengono dalla stessa, fatti prigionieri otto carabinieri. Gli stessi vengono condotti in una cava di zolfo nei dintorni di Caltanisetta, i militi vengono spogliati, uccisi, e sotterrati alla belle meglio. A soffiare su un incendio che già divampa, arriva un decreto del ministro dell’agricoltura, Fausto Gullo, che in ottobre da l’avviò alla concessione ai contadini delle terre incolte, ed alla semplificazione delle procedure per l’assegnazione dei terreni demaniali. La rabbia dei latifondisti arriva al culmine, le pressioni sul bandito Giuliano si fanno sempre più incisive. I sindacalisti che difendevano i diritti dei contadini vengono assassinati a decine. Accursio Miraglia, segretario della camera del lavoro e membro per l’assegnazione delle terre incolte, viene ucciso da una raffica di mitra sulla soglia di casa. Casualmente nello stesso periodo si aggira in Sicilia come un avvoltoio in cerca di cadaveri “Lucky” Luciano. Verso le tre del pomeriggio del 27 aprile del 1947, un certo Pasquale Sciortino, consegna una lettera al colonnello bandito Giuliano. Si appartano dietro una roccia, leggono insieme la missiva, dopodiché Giuliano, la brucia. Nessuno ha mai saputo se le istruzioni venissero dall’OSS, dalla mafia, dai latifondisti, o da ambetre. Fatto sta che il colonnello dice che bisogna organizzare un’azione contro i comunisti. Dobbiamo sparare su di loro il primo maggio. Un altro a cui piace spedire lettere è il segretario di stato americano George Marshall. La lettera inviata all’ambasciatore a Roma, tale James Dunn così recita: “Il dipartimento di stato è profondamente preoccupato del deterioramento delle condizioni politiche ed economiche italiane, che evidentemente stanno conducendo ad un ulteriore aumento della forza comunista”. La lettera è datata primo maggio 1947. Lo stesso giorno, alle ore 10 antimeridiane, mentre centinaia di contadini con mogli e figli giungono a Portella della Ginestra per la festa del lavoro, dal monte Pizzuta si abbattono sulla folla infinite raffiche di fucili mitragliatori. Il colonnello Giuliano, il pollo che si credeva un’aquila, con la complicità dell’OSS, provocò la morte di undici persone e il ferimento di altre ventisei. Tra di loro, una bambina di anni sei, ed un’altra di nove. Era semplicemente l’applicazione dell’annunciata dottrina della Casa Bianca per arginare il dilagare della “Canea rossa”. Se fossi un politologo darei un semplice consiglio agli Stati Uniti d’America: “Smettete di esportare democrazia nel mondo, finirete per restarne senza”.
P.S.
Contrariamente a quello che vi è stato raccontato, o che avete visto al cinema, non ci fu nessuna sparatoria tra i carabinieri e il bandito Giuliano, il colonnello fu ucciso dal suo vice Gaspare Pisciotta. A Gaspare, anche lui un semplice burattino, fu chiusa la bocca il dieci agosto 1956, con lo stesso espediente che servirà a tacitare il mitico Sindona, una tazzina di caffè molto, molto forte, corretto con due decigrammi di stricnina, dose bastante per abbattere un cavallo.


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