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 Edizione del 18/10/2016
 
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I veri partigiani
''Quando le parole perdono di significato, gli uomini perdono la libertà.'' Confucio. La ministra delle riforme, della quale citare il nome mi provoca un discreto fastidio, ha detto a reti unificate che i veri partigiani voteranno Si al referendum del 4 dicembre
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I veri partigiani
( VERSIONE TESTUALE )

No, cara ministra, voteranno Si, quelli, citando Giorgio Bocca, che erano fascisti il giorno prima, e antifascisti il giorno dopo. I veri partigiani sono state le radici che hanno dato origine al tronco della democrazia, affinché noi che ne siamo le foglie ne serbassimo memoria. I veri partigiani non cenavano in ristoranti lussuosi tipo quelli frequentati dal suo e nostro Presidente del consiglio, il quale, nonostante le continue e legittime richieste, si vergogna perfino di mostrarne gli scontrini. I veri partigiani, di cui ho raccolto le testimonianze, certe sere per cena, dovevano scegliere tra tre castagne e un cucchiaio di riso. I veri partigiani spesso hanno dovuto scegliere tra tradire i compagni o essere torturati o fucilati, e non hanno tradito. I veri partigiani avevano una sola parola, ed una dignità che purtroppo è avulsa alla maggior parte di coloro che ci governano. Dovrebbe spiegare, cara ministra, agli ultimi veri partigiani, perché tenete al Governo, in Parlamento, e negli enti locali, indagati, imputati, o addirittura condannati in primo grado, anche per fatti molto gravi. Dovrebbe spiegare loro perché in Parlamento ci sono politici che invece di seguire i dibattiti su leggi importanti, si trastullano con ipode, iphone, tablet e quant’altro. Dovrebbe spiegare loro, perché all’uscita del Parlamento, intervistati da qualche giornalista che ha ancora la schiena diritta, i poco onorevoli manco si ricordano di che leggi si è discusso, ne perché le hanno votate.
Parafrasando De Andrè potrei chiederle: “Sono questi oggigiorno i migliori che abbiamo?”, o queste persone sono solo dei “Parassiti del Paradiso?”. Come scrive in un interessante articolo Antonio Ingroia, voi siete solo gli esecutori, pedoni in un gioco di scacchi molto complesso, altri sono i mandanti, voi siete stati assoldati, scrive Ingroia, per abbattere la Costituzione democratica nata dalla Resistenza figlia della lotta di liberazione. I mandanti vanno ricercati in quei gruppi di potere e in quelle lobby più o meno occulte che da quarant’anni assediano e insidiano la Costituzione. Mentre scrivo questo, mi tornano alla mente le parole di Piero Calamandrei, che vorrei entrassero anche nelle vostra: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.” Ai miei cari e rari lettori voglio regalare due poesie, la prima parla di un bambino, figlio di un partigiano che per tutta la vita si è chiamato “Saltantango”, la seconda, di come è capitato di morire ad un ribelle il cui nome era Mario Donegani, partigiano della Centoventiduesima Brigata Garibaldi, bruciato vivo in una cascina sull’altipiano di “Nasego”, sopra la frazione di Comero.

“SALTANTANGO”

Duecento grammi di pane,
e nessuno che li moltiplichi.
Nella madia farina di legno,
con i tarli che menan le danze,
sotto,
il vuoto della credenza,
anche i topi han lasciato la stanza.
Oh papà, papà partigiano,
il mio cuore è con te come sempre;
ma la fame, la fame, la fame,
mi toglie ogni altro pensiero.
La mamma mi pare un fantasma,
con le lacrime non si compra più niente,
e io sono troppo tuo figlio
per cominciare a rubare.
Lo so che in montagna è anche peggio,
che mangiate polenta e ricordi,
che oliate fucili e coraggio
per uomini sempre più sordi.
Ho sette anni e non posso aiutarti
e la mamma purtroppo neppure,
ma stasera saltando la cena
danzeremo un tango per te.


“NASEGO”

Tovaglia d’erba
su un altare di rocce,
aeroporto di falchi,
che s’alzano e planano,
signori dell’aria
che invidiavo da sempre.
Più di altri quel giorno,
disarmato e sdraiato
a ubriacarmi gli occhi
di tutto il blu del cielo.
Monocoli neri
al confine di canne brunite,
mi fermarono il cuore.
Tracce rosse
segnarono il sentiero,
tra l’urlo dei rododendri
e la vergogna delle lucertole.
Calci di fucile e ossa spezzate,
fascine di legna
e manette di filo spinato.
Coltelli di fiamma
mi dilaniarono la carne
sospeso su quel fuoco,
per giorni e giorni
compagno di resistenza.
L’unica cosa che mi dispiacque,
mentre cercavo di alzare la testa
a salutare la morte,
fu di non aver abbastanza saliva
per sputare sulle loro facce.


Un altro vero partigiano che si starà rivoltando nella tomba, cercando un mitra, un fucile, un coltello, un bastone, una pietra, un insulto, era il Comandante “Zenit”, che ci ha lasciato queste bellissime e toccanti parole: “Ci siamo ribellati a quei tedeschi che volevano essere i padroni del mondo perché erano forti e ben armati. Abbiamo dichiarato loro la guerra e ci hanno chiamato banditi e criminali. Ci hanno deportato famiglie e figli, ci hanno ucciso i compagni migliori con le bastonate, o impiccati come ladri e assassini di strada. Ma non abbiamo ceduto. Assaliti, ci siamo difesi. Assottigliati nelle file dagli arresti e dalle esecuzioni, le abbiamo infittite. Affamati, abbiamo fatto cibo delle erbe dei monti, senza scarpe, abbiamo marciato scalzi sui sassi e sui rovi. Disarmati, ci siamo conquistati le armi combattendo inermi. Non abbiamo ceduto nemmeno quando siamo rimasti soli e senza speranza di aiuto alcuno. E oggi, che il nemico arretra e barcolla sotto i colpi, noi abbiamo la certezza di aver contribuito al suo prossimo crollo, in minima parte, forse, ma abbiamo contribuito.”


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