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 Edizione del 17/11/2016
 
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Lo Zen
Novembre, è un mese che spinge alla meditazione. È il mese dei morti, e niente come la morte ci porta a meditare sulla futilità della vita
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Lo Zen
( VERSIONE TESTUALE )

Dedicherò quest’articolo allo Zen, una disciplina, più che una religione, utile per portare a conoscenza dei lettori l’esistenza di una chiave per aprire le porte della spiritualità. Secondo la tradizione, il monaco buddista Bohidarma, giunse in Cina per diffondere la dottrina di una nuova scuola. Tutto ciò avvenne nella prima metà del sesto secolo dopo Cristo, e la scuola in questione era il Dhjana. Questo termine sanscrito può essere reso, con “meditazione”. Per ragioni fonetiche, diviene in Cina Chian, e in Giappone, Zen. Lo Zen fa a meno di qualsiasi punto di riferimento o dottrina, persino di quella del Buddha. I suoi maestri sostengono l’esigenza di scrutare direttamente nella propria natura, senza dipendere dalle scritture o dagli insegnamenti altrui. O, per meglio dire, è uno speciale insegnamento senza scritture, al di là delle parole e delle lettere, che mira all’essenza spirituale dell’uomo che vede direttamente nel suo essere. Lo Zen è la ricerca di se stessi mediante la meditazione, per realizzare la propria vera natura, accompagnata dal disprezzo per il formalismo, dall’insistenza sulla disciplina e sulla semplicità di vita. Lo Zen ha molti significati, nessuno del tutto definibile, se sono definiti, non sono Zen. Mi rendo conto che quest’ultima affermazione è piuttosto sibillina, e che le parole nude e crude mal si addicono a spiegare una disciplina apparentemente semplice. Solo coloro che sono in grado di afferrare i sogni, possono arrivare alla comprensione dello Zen percorrendo una breve via, per tutti gli altri (ed io mi metto tra questi), la strada già dissestata della dissoluzione mentale del pensiero occidentale, sarà lunga e tortuosa. Lo Zen è originario dell’Estremo Oriente, ma con un po’ di attenzione, è possibile riconoscere un parallelismo culturale con il Jazz, con le opere del commediografo Samuel Beckett, con certe poesie di Ungaretti, o dei nativi americani, e perfino in Nietzsche. Ad Alan Watts, il massimo esperto occidentale di filosofia Zen, va riconosciuto il merito di aver diffuso, più per convinzione che per interesse, questo nuovo atteggiamento nei confronti di se stessi e del Cosmo, influenzando in modo tangibile scrittori come Jack Kerouac, la Beat Generation e l’intero movimento degli Hippies o figli dei fiori. Scriveva Alan Watts in uno dei suoi saggi più importanti : “Non sono favorevole ad importare lo Zen dall’Estremo Oriente, poiché esso è profondamente collegato a istituzioni culturali che ci sono del tutto estranee. Ma non c’è dubbio che nello Zen vi sono cose che possiamo imparare o disimparare e applicare alla nostra pratica. Esso ha il merito particolare di un modo di esprimersi, che è tanto comprensibile all’intellettuale, quanto per l’illetterato, offrendo possibilità comunicative che noi non abbiamo esplorato. Possiede un’immediatezza, un brio, e un senso di bellezza come di assurdità, esasperante e insieme delizioso. Ma soprattutto possiede la facoltà di stravolgere la mente e di risolvere i problemi umani apparentemente più angosciosi. Nel suo intimo vi è una compassione forte ma niente affatto sentimentale, per gli esseri umani che soffrono e periscono proprio a cagione dei loro tentativi di salvarsi”. Se avete tenuto duro sino a qui, meritate la lettura di alcune storielle Zen, quelle serie, sono tratte dalle classiche “101 storie Zen”, le altre da “101 buddhanate Zen” di Francesco Salvi. Buona lettura.

Una tazza di tè
Nan-in, un maestro giapponese dell’era Meiji (1868-1912), ricevette la visita di un professore universitario che era andato da lui per interrogarlo sullo Zen. Nan-in servì il tè. Colmò la tazza del suo ospite, e poi continuò a versare. Il professore guardò traboccare il tè, poi non riuscì più a contenersi. “è ricolma. Non ce n’entra più!”. “Come questa tazza,” disse Nan-in “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo Zen, se prima non vuoti la tua tazza?”

Il vero miracolo
Quando Bankei predicava nel tempio Ryumon, un prete Shinshu, che credeva nella salvezza ottenuta ripetendo il nome del Buddha dell’Amore, si ingelosì del suo vasto pubblico e volle discutere con lui. Bankei stava parlando allorchè comparve il prete, ma questo creò una tal confusione che Bankei s’interruppe e domandò che cosa fosse tutto quel baccano. “Il fondatore della nostra setta” si vantò il prete, “aveva poteri così miracolosi che stando sulla riva del fiume con un pennello in mano riusciva a scrivere attraverso l’aria il sacro nome di Amida su un foglio che un suo assistente reggeva sull’altra riva. Tu puoi fare questa cosa prodigiosa?” Bankei rispose gaiamente: “Forse questo giochetto di prestigio può farlo la tua volpe, ma non è questo il modo dello Zen. Il mio miracolo è che se ho fame mangio, e se ho sete bevo”.

L’illuminazione
Il maestro Getsuan si trovava in piena meditazione quando all’improvviso il suo discepolo più giovane, l’ultimo arrivato, si illuminò. Un compagno di quest’ultimo, di nome Tangen, si avvicinò al maestro visibilmente alterato e gli si rivolse in questo modo: “Maestro”. “Dica”. “Come è possibile che a me che studio lo Zen da dieci anni non è ancora successo nulla, mentre il mio compagno che è appena arrivato si è già illuminato?” E il maestro rispose: “Continua a meditare e non fare polemiche su mio cugino Osram”.

Doppio sogno
Chuang-tzè sognò di essere una farfalla, e il sogno fu così intenso che al suo risveglio egli non ricordava più se era stato lui a sognare di essere una farfalla o una farfalla a sognare di essere Chuang-tzè. Poi si guardò attorno. Vide i bambini da portare a scuola, le cambiali da pagare, il cane che voleva fare la pipì, un testimone di Geova alla porta, e così chiuse gli occhi, stese le ali e volò via.

Naraka-geisha
A Kisagata nell’Oku, famosa baia di eccezionale bellezza nell’odierna prefettura di Akita, una geisha, celebre per la sua bellezza e per la sua carica erotica, divenne discepola del Rinzai Zen. Il suo nome era Naraka-geisha. Le sue grazie erano tali che gli uomini si sentivano in Paradiso di fronte a lei, e in Purgatorio di fianco. Dopo l’ordinazione, essa assunse il nome di “Paradiso-geisha”. Praticava Zazen a letto, e insegnava agli uomini la dottrina del Buddha, senza badare se il discepolo fosse ammogliato o scapolo, anziano o fanciullo, alto o basso, destro mancino, sano o salvo. Tutti i suoi allievi indistintamente raggiunsero il Satori, e non si ebbe mai più una simile quantità di uomini illuminati come durante il breve periodo in cui Naraka-geisha si trattenne al tempio.

Vi lascio con una frase su cui meditare nei giorni uggiosi di Novembre. “Se piove riparati pure sotto un tetto, ma non pensare che l’uomo asciutto che sarai sia migliore dell’Uomo bagnato che eri”. Da “La coscienza di Zen” di Stefano Disegni.


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