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sabato 18 maggio 2024 | 20:14
 Nr.17 del 09/07/2007
 
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''LA STRADA CHE PORTA A ME ''
- LABILE AGENDA DI VIAGGIO -
ADELINA BETTINSOLI è nata nel 1922 a Lodrino, dove ha trascorso la giovinezza partecipando attivamente alla vita locale. Ha svolto attività lavorativa allo stabilimento “ Beretta “ di Gardone V.T. durante gli anni della guerra. Felicemente sposata, ha cresciuto una numerosa famiglia pur mantenendo impegni di lavoro (custode, con il marito per molti anni all’Istituto Tecnico Agrario Pastori di Brescia) ed interessi culturali (licenza di Scuola Media conseguita nel 1988. Attualmente vive al Villaggio Prealpino. Fin dalle origini fa parte di Solidarietà Viva (Associazione con oltre 800 iscritti) ed ancor oggi è una presenza tra le più attive e simpatiche


   Adelina Bettinsoli



   Adelina Bettinsoli diciottenne


Questa vuol essere una raccolta di “pagine sparse” in cui ho raccolto ricordi vecchi e nuovi della mia esistenza elaborati con il “gruppo della memoria nell’anno 2005-2006 cui ho aggiunto alcune “tappe” del viaggio della mia vita, riviste con gli occhi del cuore, e rivissute con gli amici della memoria durante l’anno 2006-2007.
Il professore che quest’anno ci ha condotto nell’“Atelier della memoria e della scrittura autobiografica” ci ha proposto di “giocare” con la memoria: con tutti gli altri viaggiatori ho acceso anch’io i motori e mi sono buttata in un viaggio… memorabile!
Buona lettura!


PARTE PRIMA ANNO 2005-2006



LA MIA STORIA …all’inizio



Sono nata il 19 luglio del '22... e mi raccontava la mia mamma che quando sono nata il papà stava mettendo le campane sul campanile con altri uomini. Avevano fatto le campane nuove e le stavano per installare. Quando un’amica di mamma, Angela, è andata ad avvisare che ero arrivata, papà, anzi babbo, quasi casca dal campanile per l’emozione e per la fretta di venir giù. Tante volte mi ha mostrato la cicatrice che aveva sulla gamba! Io ho sempre avuto un rapporto particolare col papà che noi chiamavamo babbo, o meglio “bubà”.
Era sufficiente uno sguardo per capirci. Non avevo confidenza, ma mi coccolava. Ricordo che quando dovevo dormire mia madre lo andava a chiamare al bar perché venisse a suonare per me la fisarmonica o il mandolino. Quando è nato il secondo figlio lui disse a mamma: "Non dirmi di suonare i1 violino!" Non ne voleva più sapere di strumenti musicali, perché per me, aveva suonato per ben tre anni. Io sono nata in casa. A quei tempi, tutti nascevano in casa. All'ospedale non ti accettavano se non c'era un problema grave, oppure se l'abitazione non era idonea.
Chi faceva nascere era la levatrice, una signora che si chiamava. Rosina. mi pare. È morta quando ero molto piccola. Mi dicevano sempre che ero una bambina dolce. Mi piaceva imparare a lavorare. Andavo ancora a scuola quando la sorella del prete mi insegnò a lavorare al ferri. A quel tempi c'era il calendario. Ogni mese c'erano "due punti" (a maglia) e lo mi dilettavo a tirarli giù e a farli. Poi iniziai a fare le calze ai miei fratelli, i maglioncini, le braghettine e ancora oggi lavoro a maglia per i miei nipoti.
Anche la mia mamma era brava a lavorare a maglia, ma non mi insegnava. C'era una cugina che era molto brava a lavorare a maglia, ma era molto scorbutica. Una volta ti insegnava e un'altra ti mandava a farli benedire e io volevo imparare a fare una cuffìetta che mi piaceva, Lei abitava in una casa col solaio e lavorava su una specie di ballatoio sul quale lavorava di nascosto. Ricordo che avrò avuto sei o sette anni e, per vedere il punto che usava per lavorare che era tutto a roselline: andai sul solaio con gli zoccoletti in mano e, con la pancia in giù, mi sporsi alla finestrella che dava sul ballatoio. Non so quanto tempo rimasi là a vedere ed a contare i punti che faceva ma quando li memorizzai ritornai a casa a rifarlo proprio uguale. Più tardi andai da quella mia cugina e le dissi: "Anche senza il tuo aiuto, vedi che l'ho fatto lo stesso!" e lei "e come hai fatto?" "Non te lo dico come ho fatto!" sennò magari rischiavo di prenderle.
I miei genitori erano di Lodrino entrambi. Il mio babbo che si chiamava Giacobbe, aveva imparato a fare il falegname ed i suoi due fratelli, Isacco e Luigi, erano andati in America. Mio nonno era Abramo, ma mia madre non parlava molto di quelle cose. Era una donna burbera.

UN RICORDO D’INFANZIA e LA MIA CASA


Nei miei ricordi mi rivedo a tre anni: davanti a me c’è papà che piange la sua mamma morta, la mia nonna se ne era andata! Nonostante fossi piccolina, io la mia nonna me la ricordo bene.
Mamma mi mandava da lei ogni mattina per augurarle il buon giorno: per andare da nonna dovevo fare pochi scalini dato che abitava vicinissima a noi. Ricordo di un mattino quando entrando in casa vedi la nonna che stava recandosi in bagno e notai le sue gambe nude, tutte piene di vene. Mi fecero così impressione che chiesi a mamma come mai la nonna avesse gambe così brutte.
Lei mi rispose che la nonna non stava bene, anzi che era molto malata. Poco tempo dopo questo fatto la nonna morì.
All’età di quattro anni arrivò un altro fratellino, nato prematuro, e così in famiglia ci trovammo in tre figli, Guido di due anni, il piccolo Ettore che, a dire il vero, mi sembrava un ragnetto ed infine c’ero io, Adelina.
Ettore era così piccolo che sembrava dovesse morire da un momento all’altro, invece anche lui è cresciuto bene, anzi ha già compiuto ottant’anni!
Mi ricordo bene la casa di quando ero bambina: una cucina grande, con un buon e grande fuoco dove si cucinava tutto il mangiare; un tavolo grande, una credenza in legno di noce fatta da mio padre che era falegname.
Ricordo che per aprire i cassetti dei mobili, babbo aveva fatto le maniglie raffiguranti grandi bocche di animali. Sotto sulle antine erano intarsiati grandi cesti di frutta e i piedi degli stessi mobili erano stati fatti come le zampe di un Leone. Poi vi era una stufa a legna che d'inverno serviva anche per il riscaldamento.
Si bruciavano i trucioli di legno e gli scarti che noi chiamavamo "bosie". Alla sera invece si bruciava la legna buona per fare le braci da scaldare a letto. Si metteva nel letto uno strumento chiamato "monega" col suo scaldino.
Allora non c'era riscaldamento. Tutti avevano il fuoco. Oltre alla cucina vi erano anche tre camere da letto: una del babbo e della mamma, una grande per i miei fratelli ed una piccolina solo per me. Ora queste stanze le uso io: le hanno lasciate mamma e babbo a me che le uso solo d 'estate. Quanti ricordi trovo in questa casa!
Rivedo con gli occhi del cuore la mia casa a Lodrino: a piano terra c’era la stalla, la cantina ed uno stanzone dove lavorava il babbo. Al primo piano c’erano la cucina e due camere come ho detto prima ed al piano superiore c’era un altro appartamento che era stato dato in affitto ad una famiglia che lo occupava solo nel periodo estivo quando veniva per la villeggiatura.
Ricordo che, oltre ai genitori, c’era una bimba, la governante e ben due cameriere.
La governante si chiamava Cina e portava una parrucca tutta a riccioloni scuri perché i suoi capelli erano già bianchi. Sapevamo questo.
Perché il mio babbo faceva anche il parrucchiere e tagliava i capelli “veri” anche a Cina!
Uno dei miei fratelli, una volta, tolse la parrucca di Cima che si era addormentata e successe il finimondo.
La famiglia si fermava in villeggiatura tre mesi ed a fine agosto se ne tornava in città lasciando e tutto quello che lasciavano era per noi, compresi i giochi della bimba: bambole, triciclo, monopattino ed altro.
Nel pollaio che non si usava, il babbo mi aveva costruita una scaletta per accedervi e così, quel posto, diventò la mia stanza per giocare. ( continua)

Adelina Bettinsoli




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