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BUONGIORNO NOTTE E PIAZZA DELLE CINQUE LUNE: LE DUE FACCE DEL CASO MORO
L’Italia è il paese dei misteri, un paese dove, come qualcuno ha detto, cronaca e storia si confondono, e la storia rimane cronaca. Uno dei misteri più inquietanti della nostra storia è, senza dubbio, la vicenda del sequestro e dell’omicidio del Presidente della DC Aldo Moro, avvenuta tra il 16 marzo e il 9 maggio del 1978. A breve distanza l’uno dall’altro, sono usciti recentemente due film che hanno proposto due visioni diverse e per certi versi contrastanti dell’episodio
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BUONGIORNO NOTTE E PIAZZA DELLE CINQUE LUNE: LE DUE FACCE DEL CASO MORO
( VERSIONE TESTUALE )

Il film di Marco Bellocchio Buongiorno, notte ha scatenato polemiche a Venezia per la sua mancata premiazione con il Leone d’Oro: al di là del gusto discutibile di inscenare proteste e denunce al sistema per una scelta diversa da quella che gli autori del film probabilmente si attendevano, non ho trovato in questo lavoro una sola ragione per cui dovesse essere premiato. L’idea del film, che mutua il titolo da un verso di Emily Dickinson, è certamente ambiziosa e impegnativa: il regista ha rielaborato il sequestro dello statista secondo l’ottica di Chiara (la brava Maya Sansa), figura ispirata alla brigatista Anna Laura Braghetti e al suo libro “Il prigioniero”, che vive nell’appartamento in cui Moro è custodito. Fra immaginazione, ricordi, sogni e vita reale, la protagonista vede, nel corso della vicenda, sgretolare le proprie convinzioni ma, soprattutto, sembra cedere alla tentazione di vedere in Aldo Moro un uomo prima che un prigioniero politico, con tutte le conseguenze del caso. Il Presidente della DC che, per le Brigate Rosse, è il simbolo di quel potere reazionario e controrivoluzionario che dicono di combattere, è nelle loro mani, ma il vero carcere sembra essere quello che tiene rinchiusi gli stessi sequestratori, un carcere inevadibile fatto di oggetti e consuetudini borghesi (le cene col vino rosso, il segno della croce, ferri da stiro, anelli nuziali), fra i quali spicca in modo netto la televisione, sempre accesa e che è protagonista della scena, a mio parere, più imbarazzante del film: i quattro rapitori che, constatando il consenso della folla a un discorso pubblico di Luciano Lama contro i brigatisti, cominciano a cantare una cantilena allucinata “La classe operaia deve dirigere tutto”; onestamente è difficile non ridere di fronte a questo slogan storico della sinistra utilizzato alla stregua di una filastrocca da film horror. Bellocchio evita volutamente un approccio realistico e storiografico alla vicenda, puntando tutto sul piano umano e sulle visioni della protagonista e, per colpire al cuore lo spettatore, inserisce sequenze di vecchi cinegiornali di propaganda stalinista, immagini di Paisà di Rossellini, lettere di protagonisti della Resistenza, stralci di televisione dell’epoca e condisce il tutto con una colonna sonora di sicuro impatto (canti della Resistenza, cancan, Aida) su cui troneggia “The Dark Side of the Moon” dei Pink Floyd, che commenta i momenti topici del dramma. Un coacervo di frammenti audiovisivi che rischia di travolgere chiunque cerchi di dominarlo, a meno che non sia un grande regista, cosa che, francamente, Bellocchio non dimostra di essere, almeno in questa occasione. Fare poesia con la macchina da presa, che sembra l’intenzione di Bellocchio, avrebbe forse richiesto un soggetto diverso: non si può escludere la Storia da una vicenda che è essa stessa Storia, e che ha segnato la Storia di questo Paese.



Un discorso completamente diverso va fatto per Piazza delle Cinque Lune, film di Renzo Martinelli (autore di Vajont e Porzus) che affronta l’affaire Moro basandosi su documenti e fatti di cui non tutti sono a conoscenza. È stata criticata da molti la scelta di realizzare un thriller sfruttando i misteri del caso Moro ma, al contrario che nel caso di Buongiorno, notte, qui l’operazione ha almeno un senso, al di là dei suoi discutibili meriti artistici. Il senso è quello di cercare di incuriosire il pubblico riguardo a fatti ormai acclarati anche se privi di ufficialità. Certo, a coloro che sono interessati alla storia e alla politica e che non si accontentano delle verità che i libri di storia ufficiali ci propinano, questo film rischia di dire poco o nulla di nuovo, ma sono convinto che per la stragrande maggioranza delle persone, soprattutto quelle più giovani o ingenue, sia una sorpresa scoprire che nei più oscuri fatti della nostra epoca c’è sempre una ragnatela di trame e lotte di potere che si svolgono all’insaputa della gente comune. A Martinelli va riconosciuto il coraggio di aver proposto al grande pubblico fatti che fino ad ora erano restati sepolti in inchieste e libri di scarsa diffusione: sposando la tesi di Sergio Flamigni, ex parlamentare autore de La tela del ragno, Martinelli getta luci sul ruolo della CIA e dei servizi segreti italiani nell’affare Moro, l’ambiguo ruolo di Mario Moretti come capo anomalo delle Brigate Rosse, il coinvolgimento di malviventi al soldo del potere come Toni Chichiarelli, autore del falso comunicato n.7 del Lago della Duchessa, le responsabilità e le connivenze di elementi di spicco della politica italiana. Piazza delle Cinque Lune, che prende il titolo da una piazza romana dove si svolse un incontro segreto fra il giornalista-spia Mino Pecorelli, Antonio Varisco e, presumibilmente, Dalla Chiesa a proposito del memoriale di Moro, ha molti limiti dal punto di vista artistico: onestamente eccessiva pare l’imitazione dello stile di Oliver Stone (le immagini d’epoca, vere o ricostruite, i flashback in bianco e nero, il suono, alcune sequenze prese pari pari da JFK come la sequenza iniziale al Palio di Siena, mutuata dalla scena del galoppatoio nel film di Stone, o la figura della Entità, nient’altro che un aggiornamento del Mister X/ Fletcher Proudy della pellicola americana), alcuni dialoghi sono scontati o didascalici, il colpo di scena finale rischia di banalizzare l’ottima prima parte fatta di indagini e ricostruzioni documentalmente fondate e, infine, da un cast di buon livello (Sutherland, Giannini, Rocca) ci si poteva aspettare qualcosa di meglio; in definitiva però, il lavoro di Martinelli mi pare molto più onesto e sobrio, pur con tutti i difetti del film thriller all’americana, rispetto al film di Bellocchio, sicuramente più ambizioso dal punto di vista artistico, ma in cui il ridicolo involontario e una magniloquenza mal calibrata corrono il rischio di farla da padrone.


Franco Lonati


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