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I DURI NON BALLANO PIÙ
Correva l’anno 1997, era una domenica mattina, la mattina seguente avrei dovuto presentarmi a Radio Brescia Popolare con qualcosa di interessante da leggere nella trasmissione condotta dalla mia amica Elena Romagnoli, nella quale avevo uno spazio: “L’angolo del cattivo lettore”
Leggi l'articolo completo in forma testuale ( clicca qui )



I DURI NON BALLANO PIÙ
( VERSIONE TESTUALE )

Il sabato mattina avevo visitato con mia moglie una casa di riposo dove era ospitata sua nonna Martina di anni 92. Ero uscito da quel luogo desolato senza riuscire ha trattenere le lacrime. La notte stessa sognai mio nonno “Tone”, colui che mi aveva insegnato quando avevo 10 anni, a mungere le vacche, costruire trappole per uccelli, e a spellare conigli. L’ultima volta che l’avevo visto era uno scheletro quasi mummificato. Pesava meno di 30 chili, soffriva di un tumore alla prostata, ma nessun lamento usciva dalle sue labbra. Fu a causa di quelle due situazioni che pensai di scrivere qualcosa per ricordare i nostri vecchi. Probabilmente qualche pensionato, ascoltò la radio perdendosi la prima parte, e la mia amica faticò non poco per tranquillizzare al telefono alcuni anziani seriamente preoccupati per il loro futuro, perché come scriveva Ivan Della Mea i vecchi sono come i Curdi, quando muoiono non fanno rumore. La lettura cominciava così.
La lettera è palesemente falsa, ma col passare del tempo sempre meno improbabile. Sono anni ormai che a livello politico dei nostri vecchi ci si preoccupa sempre meno. Dopo che hanno dato tutto quello che potevano dare, alla famiglia, alla comunità, alla Patria, diventano un peso, un fardello di cui nessuno più vuole farsi carico, dimenticando come scriveva Leopold Senghor, poeta e presidente di uno dei più importanti stati africani, che quando muore un vecchio è come se scomparisse tra le fiamme un’intera biblioteca. Cerchiamo dunque di amare i nostri nonni quando sono vivi, evitando l’ipocrisia di certe omelie funebri, pietose e gratuite, convinti di poter lavare le nostre colpe con qualche lacrimuccia, con una bella lapide, o con un mazzo di fiori di finta simil plastica.
Lettera ai pensionati.
Cara e caro pensionato, il consumo di pannoloni in pura cellulosa di petrolio, sta già da troppo tempo alterando la nostra bilancia dei pagamenti, e molti di voi sono stati sorpresi dalla Digos a respirare aria pulita in una percentuale superiore alla norma sottraendo arbitrariamente ossigeno ai giovani della borghesia Almirante, pardon, rampante. Pensionati minimi di tutta Italia, questo non s’ha da fare! Il vostro comportamento anti patriottico e anti costituzionale sta superando ogni limite. Si conoscono casi di pensionati che vivono mangiando Kit e Kat, provocando le ire degli animalisti. Pensionati che aiutano vedove ad imbiancare l’appartamento chiedendo contributi in natura senza il rilascio della prescritta ricevuta fiscale. Pensionati che girano con vecchie biciclette disturbando i nostri giovanotti in spyder che non ne possono veramente più (vedi allegato numero 1 con 13289 firme di giovani rampolli). Ovvero, polli affetti dall’effetto Ram. Pensionati sorpresi a succhiare vecchie croste di formaggio biologicamente impure, aggravando la situazione ospedaliera del reparto infettivi. Pensionati fotografati dal Sisde, mentre fingono di aiutare i bambini ad attraversare la strada, usandoli come scudi umani. Pensionati che sputano nei giardini pubblici mettendo a repentaglio la salute dei nostri doberman che colì portiamo a defecare. Pensionati che girano con abiti vecchi di vent’anni, contravvenendo in modo vergognoso al decreto Craxi-Armani del 32 luglio 1984. Pensionati che si spostano velocemente a piedi, riempiendo di sensi di colpa e di impotenza sessuale testati manager in Maserati. Pensionati che raccolgono gatti gravemente feriti in incidenti stradali, fingendo di portarli in cliniche veterinarie, per trasformarli in gustosi salmì per pappardelle fatte in casa. Pensionati che rapiscono, ostentando indifferenza, piccoli cani con pedigree, in leggere sporte di iuta, esigendo cospicue ricompense, rispondendo ad annunci di ricche vedove disperate. Pensionati che si accontentano in cambio della consegna del quadrupede, di un posto letto per almeno tre mesi, colazione compresa. Pensionati che si colorano col mallo di noce per spacciarsi senza vergogna per extracomunitari, giusto per raggranellare qualche euro e farsi curare senza ticket negli ospedali nazionali. Pensionati che tendono agguati all’uscita dei lavasecco, sottraendo abiti di pregio a badanti-amanti di politici in odore di mafia. Pensionati travestiti da Babbo Natale che mendicano dolci nei supermercati con la scusa di distribuirli ai bambini del terzo mondo, barattandoli con capienti caraffe di vino, nel malcelato tentativo di annegarsi dall’interno. Pensionati che baciano con trasporto la mano allungata del vescovo, solo per sfilargli l’anello con smeraldo, dileguandosi come donnole sui loro monopattini a carburo. Pensionati che conoscono a memoria il “lamento per Ignacio Sanchez Mejias” di Garcia Lorca, e lo recitano al nipote, il quale solitamente risponde: “Avo, sono due ore che son passate “los scinco de la tarde”, perché non mi sganci un deca che ho smiciato una sguincia da rattellare in focacce ria. Pensionati, come sopra scritto, cose del genere non s’hanno più da fare. E rammentate, voi potete fare molto per la Patria (magari togliendovi dai marroni). Allegato alla lettera, troverete un avviso a comparire nella trasmissione over settanta: “Uno su mille ce la farà?” I quiz sono relativamente semplici, c’è un piccolo puzzle di “Guernica” di metri dodici per quattro, composto da duemila pezzi, diciotto equazioni di terzo grado, il test di equilibrio sul filo di un rasoio lungo ventidue metri da affrontare a occhi bendati, e infine l’attraversamento virtuale di un campo minato in Angola, con mine vere. Per tutti quelli di voi che non supereranno la prova è previsto un premio di consolazione, un biglietto omaggio per il parco giochi “Anonima al di là”. Vi divertirete da mo-ri-re.
Vi lascio con una poesia che ho scritto più di vent’anni fa, diventata dolorosamente attuale, e con una delle foto di Gian Butturini che più amo.


“I DURI NON BALLANO PIÙ”


I duri si alzano all’alba
ingoiando caffè riscaldati.
I duri hanno mani callose,
la pelle come cuoio tostato.
I duri han costruito
case e strade a migliaia,
forgiato i metalli più rari,
domato mille verghe roventi
e strappato il carbone alla terra.

I duri non ballano più
hanno in bocca un sapore di fiele
le labbra coperte di neve.
Se ne trovano a iosa,
accantonati come mobili vecchi
in recinti a cielo coperto,
che alcune persone per bene
appellano,
voltando lo sguardo,
case di riposo per anziani.


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