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 Nr.22 del 15/10/2007
 
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LA CASTA O LE CASTE


I tormentoni dell’estate politica italiana, Partito Democratico sì o no, la «Cosa rossa» sì o no, le nuove alleanze oltre Prodi sì o no, aprono la scena alla riproposizione del sempre uguale, fra accuse di «cesarismo» e parallele e contrarie accuse di «populismo». Non mancano i soliti gossip che ci ammorbano a 360 gradi (o forse ormai siamo talmente assuefatti da averne quasi bisogno?).
In questa prospettiva la lettura del volume di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella «La casta» (Rizzoli, 2007, pag 289, Euro 18.00) costituisce un interessante esercizio che crediamo molti lettori abbiano già sperimentato. La prima sensazione, per chi riesce a concluderne la lettura, è, siamo convinti, di disagio, disgusto, una qualche forma di ribellione cui segue un immediato senso di impotenza, che può trasformarsi in una qualche forma di negazione: «Non è possibile!», «I miei sono diversi!», oppure in una negazione tout court della politica: «Sono tutti ladri!».
Non neghiamo che l’insieme di queste reazioni ha una sua dignità, ma crediamo che il problema stia più a fondo. Mentre sfogliavamo le pagine di Rizzo e Stella ci è capitato fra le mani il volume di Aldo Schiavone, «I conti del comunismo» (Einaudi, 1999) e ci siamo fermati sulla pagina in cui parlando di Marx l’autore dice fra l’altro: «O la democrazia assumeva il suo aspetto borghese, parlamentare, diciamo di tipo “inglese”, e allora non poteva rivelarsi se non come un imbroglio, poiché mascherava sotto la falsa apparenza dell’eguaglianza formale lo sfruttamento e la diseguaglianza sostanziali; e dunque qualunque sua teoria avrebbe finito col portar acqua al mulino di una frode colossale. Oppure, riusciva a realizzarsi nel modo che solo era vero, quello comunista...». Lasciamo da parte la complessa questione comunista e fermiamoci sulla prima parte dell’assunto dello Schiavone. I dati riportati alla fine del volume di Rizzo e Stella sono la palmare dimostrazione che ci troviamo di fronte ad un imbroglio colossale, che nel passare dei decenni non solo si è radicato in una casta di «intoccabili», ma si è esteso formando un corpo parassitario di crescenti dimensioni. Non so in che situazione si trovi l’Inghilterra, ma qui da noi la teoria e la prassi della democrazia borghese appaiono gravemente compromessi e certo non basta una più o meno profonda «teoria» per dare una risposta che riesca a dare vigore a questa nostra società.
Oggi tutti comperano qualcosa, merci, teorie, spettacoli: la convulsione all’acquisto è diventata la legge del nostro vivere: «Il consumatore reale diviene consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale» (G. Debord). La forza della società è proprio in questo processo di spettacolarizzazione e di parallela perdita di senso. Può la casta degli accademici, filosofi, pseudofilosofi, sociologi o pseudotali, economisti o indovini, dare una risposta a questa situazione o è ancora nella dura scorza delle contraddizioni economiche che opera la talpa della storia? Quello che vediamo (solo noi?) è una crescente accentuazione delle diseguaglianze, la creazione di clan, tribù e soprattutto caste. Il libro di Rizzo e Stella è un interessante segnale. E’ sufficiente? Crediamo di no! Domandiamoci: non è forse il caso di ripensare alla casta di quel «fossile denutrito» che è l’università? Molti di noi certo ricorderanno il volume di Eugenio Scalfari «Razza padrona», che quando uscì fu un successo editoriale. Come mai oggi le malefatte della finanza e dell’imprenditorialità italiana restano tendenzialmente limitate al gossip, in una defatigante attività di distinzione fra imprenditoria buona e cattiva? Si provi a studiare il settore del sito internet di Beppe Grillo che ha per titolo «La mappa del potere» (www.beppegrillo.it ), c’è molto da imparare. Non è che ci si trova per caso di fronte ad un’altra casta? Ecco che allora il discorso non è peculiare della politica ma si allarga a una forma complessiva di gestione della società che fa della diseguaglianza e, ci si conceda, dell’insicurezza e dello sfruttamento, le fondamenta stesse del suo essere.

Giulio Toffoli


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