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 Nr.29 del 10/12/2007
 
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JOSÉ CRAVERINHA THE NIGGER


Josè Craverinha nacque il 22 maggio 1922 a Lorenco Marques in Mozambico da padre portoghese (figlio di contadini poverissimi dell’Algarve) e da madre Ronga del gruppo etnico Bantù. Venne partorito su una stuoia, in una capanna dei suburbi negri della città.
La madre morì quando Josè aveva solo sei anni. Il padre, che amava suonare la chitarra ed il violino e leggere i poeti romantici portoghesi, morì in un letto d’ospedale, povero come quando era arrivato in Africa quando, Josè e il fratello Joao avevano rispettivamente 13 e 12 anni.
I due fratelli vissero per anni con la misera pensione del padre. Nonostante i pochissimi mezzi a disposizione, Josè continuò a studiare e comincio a scrivere poesie e a lavorare nelle redazioni dei giornali. A vent’anni si legò con i movimenti di liberazione e divenne in breve tempo presidente della associazione africana di Lorenzo Marques. Il Mozambico ha una fertile costa, immense foreste e grandi fiumi. Le foreste abbondano di legni preziosi: cedro, ebano rosso, mogano. Le pianure producono: zucchero, cotone, tabacco, sisal, arachidi e copra. Nel sottosuolo vi sono: oro, carbone, bauxite, berillio, uranio. Ma i mozambicani vivono in grande miseria. Come altri popoli africani, (oserei dire tutti) hanno le dispense piene di ogni ben di Dio, ma la chiave è sempre in mano agli occidentali, in questo caso ai portoghesi. Nel 1960 una convenzione portoghese con il governo dell’Africa del Sud, fissava a 80000 il numero dei manovali mozambicani da esportare ogni anno nelle miniere del Rand e del Transvaal, e il compito di “pacificare” lo spirito selvaggio degli indigeni del Mozambico, era demandato alla Chiesa Cattolica. A Lorenzo Marques, e in altre città del Mozambico, in quegli anni, gruppi di giovani studenti cominciavano ad elaborare una cultura nazionale in senso moderno. Scrivevano, cercavano di collaborare a giornali e riviste, di stampare i loro scritti per diffonderli. Ad essi premeva comunicare con la grande massa degli analfabeti, perciò scrivevano in versi. La poesia si impara facilmente a memoria, e può essere recitata nelle bidonville e nei villaggi. Josè Craverinha era uno di questi giovani, le sue prime poesie furono soprattutto liriche, d’amore, o versi satirici, in portoghese, ma presto il suo linguaggio cercò strutture e termini adeguati alla realtà mozambicana introducendo immagini e parole autoctone. Il primo volumetto (32 pagine) venne stampato clandestinamente a Lisbona nel 1964, col titolo “Chigubo”.
Questa pubblicazione gli costò cara. Il libretto fu ritirato dalla circolazione, e la polizia politica (PIDE) ebbe l’ordine di arrestarlo. Arrestato alcuni mesi dopo, si rifiutò di fare il nome dei suoi “complici” e fu trasferito direttamente a Machava, uno dei carceri più duri della capitale Lorenzo Marques. Le accuse erano vaghe e imprecise. Alcuni dei suoi compagni di sventura: scrittori, poeti, pittori, furono torturati. Qualche mese più tardi, Josè Craverinha tentò di suicidarsi nella sua cella, ma venne salvato. Dopo quattordici mesi di carcere, dopo un processo a cui non furono ammessi giornalisti stranieri, fu dimesso, …in libertà vigilata, e provvisoria. Gli stimoli permanenti della sua poesia furono: lo sdegno per le sofferenze e le umiliazioni subite dal popolo del Mozambico, di cui si sentiva parte, e l’aspirazione ad una dignità cui tutti i popoli hanno diritto.

Dall’unica sua antologia pubblicata in Italia ho scelto la poesia “Grido negro”.

Sono carbone!

Mi strappi brutalmente dalla terra
e fai di me la tua miniera, padrone.
Sono carbone!
E tu mi accendi, padrone,
affinché ti serva eternamente da forza motrice,
ma eternamente no, padrone.
Sono carbone, debbo ardere, sì,
bruciare tutto con la forza della mia combustione.
Sono carbone, debbo ardere nella ricerca,
ardere fino alle ceneri della maledizione,
ardere vivo come il carbone mio fratello,
fino a non essere più tua miniera, padrone.
Sono carbone, debbo ardere,
bruciare tutto il fuoco della mia combustione.
Sì! Sarò il tuo carbone, padrone!





Joe Dallera


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