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 Nr.30 del 17/12/2007
 
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LETTERA APERTA AL FIGLIO DEL PADRE E DELLO SPIRITO SANTO



  


Scriveva padre Davide Maria Turoldo in una delle tantissime sue poesie a Te dedicate:
“Signore, tu non sai molte cose…”.
Non era la mancanza di rispetto a fargli scrivere quei versi, bensì lo struggimento, la disperazione, di sentirsi impotente davanti a tutte le storture e le ingiustizie che lo circondavano. Era talmente vasto l’amore che nutriva per il genere umano, da scrivere:
“La morte di ogni uomo mi consuma. – L’ultimo degli intellettuali che ti era rimasto, si è “assentato. Sono restati gli “altri”, quelli che in Tuo nome accumulano privilegi e ricchezze, e che dal pulpito di Piazza San Pietro tuonano contro il consumismo e il materialismo”.

L’omino bianco con le occhiaie nere, ha perso (addì 9 dicembre 2007) un’altra buona occasione per tacere. Perché sarebbe interessante sapere dove le diocesi americane hanno reperito il miliardo di dollari usati per risarcire le vittime degli abusi sessuali da parte di esponenti del clero locale. Lo scandalo dei preti pedofili che ha travolto la Chiesa americana, ha coinvolto fino ad oggi 218 sacerdoti, che sono stati rimossi dalla carica, e 4 vescovi, costretti alle dimissioni. Sfortunatamente nessuno di loro è stato arrestato, e alcuni sono finiti nelle missioni più sperdute, dove hanno reiterato i loro misfatti, tant’è che dalla sola Alaska, è arrivata la richiesta di un indennizzo (per le 150 famiglie i cui figli hanno subito abusi) di 50 milioni di dollari.
Nonostante queste “travi nell’occhio”, l’Osservatore Romano ha dato del terrorista ad un comico, perché si era permesso di dire che “...Il Papa non crede nell’evoluzionismo, infatti, per 2000 anni la Chiesa non si è evoluta – e continuando – …La Chiesa non ha concesso i funerali a Welby, mentre li ha concessi a Pinochet, al generalissimo Franco, e ad uno della banda della Magliana”.
De Pedis, questo è il nome del bandito, ha pure una cappella in Vaticano, all’interno della cripta di Sant’Apollinare. Per smentire la prima affermazione, papa Ratzinger ha pensato bene di ripristinare la Messa in latino, per quanto riguarda la seconda, sarà molto interessante leggere l’articolo che apparirà sul prossimo numero della rivista MicroMega che parla dell’eutanasia di papa Wojtyla.

Ritornando al consumismo e al materialismo, pare, che l’anno prima dell’introduzione dell’Euro, il Vaticano spendesse quasi 5 miliardi per le bollette telefoniche dei telefonini. È invece certo (tanto per sottolineare il distacco dalle cose terrene del Clero), che un plenipotenziario della Città del Vaticano, appena fuori dalle Sacre Mura, abbia fatto restaurare e ristrutturare una chiesetta dedicata alla Madonna, trasformandola in una piccola, sontuosa, reggia personale con annesse due religiose-colf, e completa di telecamere a circuito chiuso.

Mi fermo qui, Signore. Non ci tengo a rovinarti il fegato o il Natale. Vorrei solo rinnovarti un frammento di preghiera che ho scritto e recitato nel dicembre del 1999, mentre si stava aspettando il Giubileo “…sono duemila anni che latiti \ e ora che torni Signore, \ gli occhi degli Ultimi sono asciutti, \ opache biglie di vetro \ orfani di tutte le lacrime …”.
A distanza di 8 anni, a quella preghiera mi piacerebbe che tu aggiungessi la lettura della poesia che segue, una poesia dedicata alle persone normali, quelle che lavorano, quelle che muoiono nei modi più assurdi solo per amore del proprio dovere, quelli che pagano le tasse che altri si vantano di evadere, i Penultimi, o per meglio dire “Gli inesistenti”.


GLI INESISTENTI


Siamo gli invisibili,
i mai visti in televisione.
Quelli che non passano
In nessuna radio,
i non intervistati dai giornali.
Svuotiamo fosse biologiche,
derattizziamo fogne di notte
e asportiamo i rifiuti
un’ora prima dell’alba,
raccogliendo carogne
di cani, gatti, ricci e rospi
che i reverendi notturni
rullano sul nero asfalto delle strade.
Moriamo in duelli inesplicabili
trafitti da verghe roventi.
Voliamo dal quarto piano
di palazzine in costruzione,
negli occhi,
il viso sorridente del terzo figlio
e la futura disperazione
di una madre disoccupata.
Abbiamo il nero sotto le unghie
e scarpe non più di moda.
Compriamo jeans cinesi
e formaggi di montagna.
Beviamo acqua di rubinetto
e notizie di seconda mano.
Siamo gli artigiani senza laurea
a cui hanno rubato
cinquemila brevetti.
Odiamo la curia,
il governo e l’estrema unzione.
Noi non contiamo,
tra tutti quelli che contano,
ma non ci lasceremo contare.
E continueremo così,
a sostituire grondaie,
a rifare tetti,
a tornire sfere,
a fresare speranze,
a edificare grattacieli,
a gessare stanze,
a istruire scolaresche,
a ripristinare pozzi,
a intonacare muri,
a mungere vacche, a vomitare versi,
fino a ché, letteralmente stufi,
vi lasceremo sull’ampio palcoscenico
della commedia: “Disonesti, ma ricchi”
a giocare tutti soli
(nei vostri completini bianchi e griffati)
l’ultima partita a tennis,
nella parte destra del campo.




Auguro ai miei rari lettori un tranquillo Natale, sperando che rimanga tale anche dopo la lettura dell’inquietante, ma non impossibile, racconto che segue: “Occhi di onice”.
Anche il contesto in cui si svolge il racconto ha la sua importanza.
In una cultura giudaico- cristiana la storia più importante che si possa raccontare è la storia di Cristo.
La sua efficacia dipende dall’originalità con cui la si racconta.
Questo racconto “Occhi di onice” non avrebbe alcun significato in Pakistan.
Sarebbe troppo lontano dal contesto culturale di quel paese.
Ma Ed Bryant scrive questo racconto negli Stati Uniti e si rivolge ai lettori americani .
Noi tutti abbiamo in comune lo stesso contesto culturale, un archivio di tradizioni a cui attingiamo tutti.
Sovrimpresso a questa memoria collettiva comune è l’ORA contemporaneo, quell’inarrestabile momento di esistenza che ci trasporta nel futuro, rimodellando continuamente la nostra cultura occidentale in espansione.
Il presente è il nodo tra passato e futuro, e su di essi è scritta una storia che li riflette entrambi.

Buon Natale



Accadde a dicembre.
Una serata come tutte le altre, in cui io e Pop lavoravamo al contenitore del grasso. La nostra “morada” non è un granchè, nient’altro che stazione di servizio con annessa abitazione.
La acquistammo quando la mamma era ancora viva.
Non ci fa diventare ricchi, questo è sicuro, ma riusciamo lo stesso a sbarcare il lunario grazie al traffico locale e ai quei rari turisti cui la macchina si ferma nei paraggi.
Il governo ci darebbe una mano se implorassimo, ma Pop è sempre stato un po’ suscettibile da questo punto di vista.
Quando siamo malati, ci rivolgiamo ancora ad uno di quei medici che: o paghi in contanti o è meglio che fili.
Ci avvicinavamo al Natale e si lavorava fino a tardi.
Immagino che dovrei spiegare che la nostra stazione è situata su una delle entrate inferiori alla grande autostrada intercontinentale, l’Inter-Cont Expressway.
Siccome siamo un’azienda modesta a livello artigianale, non abbiamo potuto ottenere la licenza per i posti migliori, come quelle che si beccano le compagnie maggiori, ben allineate in prima fila.
C’era un leggero strato di neve per terra e grossi fiocchi cadevano lentamente, ma molto lentamente nella luce antipatica dei nostri neon.
L’aria era ferma e fredda e si sentivano appena gli annunci pubblicitari provenire dalla città.
Nel cielo le nubi avevano nascosto quasi tutte le insegne luminose.
Riuscivo a leggerne solo una, più bassa delle altre, e diceva in rosso PER UN FELICE NATALE.
Quando ero un ragazzo mi piaceva guardare le stelle, prima che incominciassero a mandare su le insegne luminose.
Mi ero appena incamminato per riattraversare la strada, quando un trambusto giù da Mac Lain richiamò la mia attenzione.
Il vecchio Mac Lain possiede un motel, se così vogliamo chiamarlo.
Le orecchie mi dicevano che Mac Lain era arrabbiato.
Riconosco il tono oggi come sempre.
Incuriosito scesi al motel.
Se avevo creduto che il vecchio Starliner all’officina era un rottame arrugginito, mi ricredetti quando vidi la caffettiera parcheggiata davanti al Quality Western Motel di Mac Lain.
A metà strada tra quello sgorbio di macchina e il motel c’erano Mac Lain e quest’uomo con questa donna.
L’uomo era uno di quei tipi magri e dall’espressione intensa, uno di quelli che si vedono in olovisione e che hanno un mucchio di idee e non combinano mai niente.
La donna immagino fosse la moglie, stava un po’ indietro come se lui volesse proteggerla.
Non era affatto una Miss Nordamerica ma aveva una sua pacata bellezza graziosa nell’insieme: pelle nera, con occhi neri e capelli neri raccolti dietro la nuca.
Si vedeva bene anche che stava per avere un figlio.
Il vecchio Mac Lain era davvero fuori di sè, anche peggio del solito.
Stava urlando e strillando che lui non dirigeva un ospizio per poveri e che loro, l’uomo e la donna dovevano tirare fuori da pagare o al suo motel non si sarebbero fermati.
L’uomo continuava a spiegare molto composto e paziente, che lui e sua moglie avevano fatto un lungo viaggio, che venivano dall’Est e che non avevano più crediti.
Aggiunse che secondo sua moglie il bambino sarebbe nato un po’ in anticipo e che non riuscivano a trovare un dottore, né un posto dove fermarsi.
Al che Mac Lain si mise a starnazzare di nuovo che lui non ne voleva sapere, che se ne andassero e continuassero a cercare un medico.
E questo nonostante sapesse bene quanto me, che il medico condotto era in vacanza per le festività natalizie.
Opra, io non sono il tipo da lanciarmi a fare opere di bene.
Io bado solo a me stesso ed a mio padre, e di questi tempi è la cosa migliore; se sporgi il naso non ci vuole niente che te lo stacchino di netto.
Eppure guardai quei due dell’Est e pensai che dovevano essere matti ad andarsene in giro per il paese senza un credito in tasca.
E pensai anche che se non avessi fatto qualcosa ne avrei avuto rimorso.
Così mi avvicinai all’uomo e gli toccai il braccio proprio mentre lui stava aprendo lo sportello.
Gli dissi che io e Pop si poteva dargli da dormire per quella notte se volevano.
Lui mi fissò come se stentasse a credermi.
Poi concluse che facevo sul serio e prese a scrollarmi la mano e a ringraziarmi come un matto.
La donna non disse niente; ma mi sorrise guardandomi negli occhi.
Non so perché, ma cominciai a sentirmi tutto ringalluzzito, mi era venuto addosso come un brulichio.
Ma mi sentii ancora più caricato quando ci girammo per salire alla stazione di servizio.
Li condussi alla rimessa e spiegai la situazione al babbo.
Lui mi diede un’occhiata un po’ strana e mi strinse una spalla nella mano.
Poi si occupò dell’uomo e della quasi madre; si diede un gran daffare e tutt’a un tratto era ritornato quello di prima che mamma morisse.
Mise perfino la camera di mamma a disposizione della donna.
Non solo, ma la volle vedere sdraiata nel vecchio letto di mamma, e per questo mi fece cambiare le lenzuola.
Ora la donna non aveva più un bell’aspetto, ed ebbi il sospetto che il periodo di nove mesi stesse per scadere.
Avevo visto giusto.
Pop era uno che la sapeva lunga in questo genere di cose, anche se io sono il suo unico figlio.
Era stato lui a farmi nascere, nella nostra vecchia casa, in un posto che non c’è un medico nel raggio di sessanta miglia.
Si accorse che l’uomo stava per voltare gli occhi all’indietro e lo spedì subito in soggiorno a ricavare strisce da lenzuola pulite.
Questo servì a tenerlo occupato.
Aiutai Pop meglio che potei, finche parve che il bimbo stesse per farcela.
Poi Pop mi disse che lo rendevo nervoso, e che dovevo alzare i tacchi.
Siccome diceva sul serio me la battei.
Pop sembrava tornato quello di un tempo, quando sentii quelle urla tremende che venivano dalla casa e corsi dentro.
La porta della camera della mamma era di nuovo aperta e Pop era sulla soglia con la faccia più strana che si possa immaginare.
Mi passò accanto senza nemmeno vedermi e andò nello stanzino che ci serviva da ufficio.
Chiuse la porta, ma vidi attraverso il vetro che stava usando il telefono.
Parlò solo per qualche secondo.
Poi tornò nella camera in cui il bambino piangeva.
Meno di dieci minuti dopo un elicottero del Salk Memorial si posò sul marciapiede davanti alla stazione di servizio e subito scesero tre individui in camice bianco.
Nessuno di loro disse molto, quando li scortai in casa.
Si limitarono a chiedere un po’ annoiati dov’era il bambino.
Naturalmente si chiusero alle spalle l’uscio della camera di mamma.
Mi venne in mente il bollettino di informazioni del mattino. Era una cometa, Yamamura 2003\ B o qualcosa del genere. una di quelle cose che si fanno vedere ogni duemila anni o giù di lì.
Quando uscirono di casa non avevano una bella faccia.
Uno di loro parlava.
Per lo più parlava a se stesso, perché gli altri non lo ascoltavano.
Il più basso dei tre guardava con aria torva davanti a sé e pareva rifiutarsi di prestare attenzione a quello con la lingua in bocca.
Il terzo camminava come un sonnambulo.
Mi ignorarono, mi passarono di fianco, tornarono al loro elicottero, montarono a bordo e via.
Un paio di secondi e non erano che un altro puntino verde sulla città.
Ormai ero incuriosito, perciò entrai in quella stanza.
La donna era sdraiata nel letto con i capelli neri sciolti che le ricadevano tutto intorno al collo e con il bambino rannicchiato contro.
Non era la prima volta che vedevo un neonato, ma c’era qualcosa in quello, qualcosa di diverso, non qualcosa di fisico …. Una sensazione, che mi cantava e gridava dentro.
In quella camera c’era una forza.
La sentivo.
Era come trovarsi all’interno di un reattore, ma mille volte più potente di uno normale.
Avevo paura, come l’impressione che il reattore stesse per saltare.
Poi quella forza misteriosa cominciò a calmarmi.
Quel tizio, la moglie e la loro figlioletta se ne andarono dopo un paio di giorni, non appena la madre fu in grado di viaggiare.
Pop prestò loro una carta di credito e regalò loro del carburante.
Avrebbe dovuto finire tutto lì, ma non andò così.
Una settimana dopo arrivò la polizia federale, che sollevò un gran polverone.
Ci tempestarono di domande cui non sapevamo rispondere e alla fine se ne andarono.
Allora ho cominciato a stare attento ai notiziari e alla stampa molto più di una volta.
La gente sta sulle spine, è come si aspettasse un avvenimento importante.
Finora si è trattato solo di impressioni fugaci, qualcosa che si muove dietro le quinte, ma non si sa cosa.
Io lo sento, ci sono agganciato, sì, interessato.
Forse ho anche una punta di fifa.
Sì, certo, so benissimo che effetto fa, questa storia.
Ma un punto di riferimento c’è.
Ricordo quando quella bambinella nera aprì gli occhi e mi guardò.
Non riesco a togliermi dalla mente quegli occhi.
Erano due pezzi d’onice.
Altrettanto scuri e duri e altrettanto brillanti e freddi.
Ed erano pieni di rabbia e di odio prima di chiudersi di nuovo.
Pop lui parla di mutazioni e di telepatia.
Ma io ho la mia idea su questa faccenda, ed è strano perché non sono mica uno di quei mistici.
Ecco, io penso che circa duemila anni fa c’era un dio dell’Amore e che ci diede un’occasione e che invece noi combinammo su un bel guaio.
Solo che ora il vecchio Dio è morto.
Ora comanda uno nuovo e le cose sono un poco cambiate.
È questa volta credetemi, l’occasione che ci si presenta è di diverso genere.
Molto, molto diverso.


Ed Bryant



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