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 Nr.4 del 19/02/2007
 
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Ad Auschwitz dove “Arbeit macht frei”
Appunti da un viaggio nella “terra sacra” di Polonia attraverso le città di Cracovia, Varsavia e Breslavia: la nostra preziosa collaboratrice Alba Pioletti ci ricorda la struggente sua visita ad Auschwitz


   Alba Pioletti con il marito nel cortile del Castello di Cracovia



   ''Il lavoro rende liberi''


La nostra guida si chiama Angela. Racconta che prima della guerra nel paese di Oswiecim c’era solo la caserma dell’Esercito Polacco. Con lo scoppio della guerra nel 1940, i nazisti invasero la Polonia e requisirono questa caserma avendo così la possibilità di sfruttare gli edifici abbandonati. L’affollamento delle carceri con il numero crescente di prigionieri polacchi in seguito agli arresti di massa, furono i principali motivi che indussero le SS a realizzarvi, alla metà del 1940, un campo di concentramento di prigionieri polacchi.
La città cambiò nome da Oswiecim divenne Auschwitz diventando la denominazione del campo.
Negli anni successivi venne ampliato. Esso era composto in tre parti principali: Auschwitz I, Auschwitz II-Birkenau, Auschwitz III Monowitz nonché di altri quaranta campi minori. In principio le vittime furono i prigionieri politici Polacchi. In seguito furono deportati prigionieri di guerra sovietici, Zingari e di molte altre nazionalità. Dal 1942 il campo divenne luogo del più feroce genocidio di massa nella storia dell’umanità, degli Ebrei europei, in quanto i nazisti volevano annientare l’intera nazione ebrea.
La maggior parte degli Ebrei deportati in Auschwitz, – uomini donne bambini – era condotta direttamente alla morte atroce nelle camere a gas di Birkenau.
Cominciò a lavorare la “Macchina della Morte” e divenne l’infame lager, che ora vediamo con la scritta Arbeit macht frei “Il lavoro rende liberi”, denominato dai prigionieri “ Portone della morte” voluto dal comandante Rudolf Hèss.
Auschwitz è diventato per il mondo simbolo del terrore genocidio e della Shoa.
Non dimentichiamo il significato di Olocausto = sacrificarsi, Shoa = martirio.
A tre km a Brzezinka, i nazisti fecero sgomberare la popolazione, le case furono sequestrate o distrutte.
Si entra e già il cuore si stringe nel dolore immenso di varcare la recinzione di filo spinato dove ha inizio il “Museo”, lunghe file di (Bloki) caserme in mattoni, in molte sono esposti gli oggetti personali appartenuti ai detenuti e tolti loro al momento dell’ingresso del campo: montagne di apparecchi ortopedici, occhiali, valigie con i nomi scritti “Ines, Isac” molti nomi che ora non ricordo, scarpe di donna, di uomo, di bambini, quelle piccole scarpe di bambini, azzurre, rosa, mi stringe il cuore, immensi ammassi di trecce, di capelli con quelli tessevano le stoffe, i vestiti, i mantelli degli ebrei come testimonianza della loro fede, scatole vuote del gas Zyklon B, sono morti milioni di ebrei con questo gas, nei lunghi corridoi appesi alle pareti gli ingrandimenti di foto scattate dai nazisti quando registravano i prigionieri nel campo. Dal 1943 furono sostituite con un numero di matricola tatuato sull’avambraccio sinistro, nessuna delle persone qui raffigurate sopravvisse nel campo.
Poi siamo scesi nei sotterranei nel blocco n° 11, detto “Blocco della Morte”, nelle celle di punizione, piccole stanze senza luce, senza aria rinchiudevano i prigionieri sospettati di cospirazione o tentativi di fuga. Nel 1941 vi collocarono i condannati alla morte per fame, un detenuto ha voluto immortalare su una parete un Cristo in Croce, forse è stato inciso con le unghie, nella cella n° 18 fu rinchiuso tra gli altri San Massimiliano Maria Kolbe, che aveva accettato di morire per salvare un altro prigioniero.
Più avanti hanno trovato un’altra prigione: una piccola stanza quadrata di un metro per lato, il posto era per quattro uomini che dovevano stare in piedi, perché non c’era posto per muoversi, la porticina, era uno sportello a filo terra, i prigionieri scivolavano dentro come bisce, aspettavano così la morte.
Cose terribili ho visto, cose inimmaginabili hanno fatto, e poi nel grande stanzone dove nel soffitto si vedono ancora infilati i supporti delle docce, così dicevano… li facevano spogliare, mi sembra di vederli piegare con cura i loro indumenti che avrebbero poi indossato all’uscita della doccia, le donne pudiche nelle loro nudità coprirsi, sciogliere i capelli, sorridersi, era l’ultimo sorriso, la morte li aspettava e non sapevano di morire, di morire con il gas Zyklon che scendeva da quei supporti che sembravano docce.
Come facevano a raccogliere tutti quei corpi ammucchiati? Ho sentito una testimonianza di un superstite di Iseo, allora aveva 16 anni stava lavorando nei campi quando fu preso dalla Gestapo e portato a Auschwitz. Prima gli fecero fare il giardiniere, vicino ai campi di sterminio curava i fiori, da una parte il giardino fiorito e dall’altra parte la porta che conduceva verso le docce mortali, tutto doveva apparire bello… ma poi gli fecero fare il raccoglitore di morti, quei nudi corpi li prendeva per la testa con lunghe tenaglie e li trasportava sui carrelli che andavano direttamente nei forni crematori, ma prima c’era chi si occupava a togliere quello che c’era di prezioso in bocca o in altre parti del corpo e soprattutto i capelli con quelli dopo essere stati disinfettati venivano fatti i tessuti. E ci fermiamo a vedere i forni crematori nell’edificio della prima camera a gas e crematorio del campo. Secondo i calcoli delle autorità naziste vi si potevano bruciare 340 corpi in 24 ore. Quando nel 1943 ad Auschwitz II- Birkenau costruirono forni crematori più capaci, il crematorio n°1 smise di funzionare. Secondo la ditta tedesca che costruiva i forni in entrambi i campi, nei nuovi cinque crematori si potevano bruciare giornalmente 4576 corpi.
E le ceneri vi chiederete, già c’era il problema della cenere che veniva messa dentro un vagoncino e buttata in un laghetto artificiale, costruito apposta vicino alla camera a gas e al crematorio. Ho visto tutto: le stanza delle docce, i forni, il carrello dove trasportavano i corpi, le rotaie che conducevano verso il laghetto artificiale i carrelli colmi di cenere e poi… la visita non è ancora finita, la guida ci porta davanti al “muro della morte” contro il quale furono uccisi con un colpo alla nuca 20.000 prigionieri. E finiamo questa dolorosa visita con la visione dei lunghi corridoi di filo spinato dove la corrente elettrica folgorava all’istante i molti prigionieri che si gettavano per suicidarsi non potendo più sopportare il terrore. Il recinto di Auschwitz era lungo 2 km, quello di Birkenau quasi 12 km, e vediamo la piazza d’appello con la forca collettiva, qui le SS effettuavano esecuzioni collettive pubbliche facenti parte degli atti di terrore. Le garitte per le sentinelle…


Alba Pioletti


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