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 Nr.6 del 16/03/2009
 
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Una fotografia senza fronzoli
L’Antologica di Gian Butturini presentata alla galleria d’Arte Contemporanea in Corsetto S. Agata in questo mese di marzo è stata pensata come un momento per riprendere un discorso in qualche misura interrotto


   Gian Butturini



   Immagini dal reportage di Gian Butturini in India


Viviamo, come tutti sappiamo, in una società che tutto consuma con la rapidità del vento e che non riesce a costruire un’identità forte, uno spirito critico che offra strumenti per una comprensione del presente.
Come è ben noto quest’evoluzione ha interessato anche la fotografia nella sua esplosione, o forse meglio nell’odierna implosione, legata all’emergenza di una fotografia sempre più subordinata al mercato, alla pubblicità, tutta esteriorità e glamour e infine ad una fotografia merce universale, rappresentata dalla rivoluzione digitale.
È in questo contesto che quella di Butturini si staglia come un’esperienza carica di un significato che, crediamo, non possa essere sottaciuto e che ci pare vada difeso e riproposto come un modello significativo.
Preparando questa mostra e ragionando sulla fotografia di Butturini abbiamo, con altri amici di Gian, voluto compiere due gesti. Il primo è di superamento dell’attenzione sulla personalità dell’uomo e del personaggio. Siamo profondamente convinti che Butturini sia stato per Brescia dagli anni settanta alla fine del secolo una personalità di spicco, una figura che s’imponeva sulla scena, che faceva sentire la sua voce e che grazie alla sua incredibile umanità sapeva costruire ponti, generare simpatie, offrire un calore che costituisce esperienza non usuale nelle interazioni fra gli esseri umani. Ma questa volta abbiamo lasciato da parte l’invadenza del personaggio per fermarci sulla sua fotografia.
Il secondo gesto che abbiamo pensato di compiere si concretizza nella realizzazione di questa Antologica che riunisce alcuni dei variegati momenti dell’esperienza artistica e culturale di Butturini, fornendo anche qualche lacerto di quelle ultime ricerche realizzate fra il 1999 e il 2006 che non avevano avuto ancora un esito espositivo.
Proviamo allora a rileggere alcune delle tappe presenti in questa mostra.

Gian era giunto nel 1969 a compiere un passo decisivo nella sua parabola esistenziale e lavorativa. Aveva abbandonato una carriera che gli si prospettava lucrosa e non priva di possibili esiti di successo per una nuova avventura di fotografo free lance. Nel 1969 con la sua Nikon Gian sbarca a Londra e inizia a fotografare una realtà che per lui, fondamentalmente legato ad un mondo come quello bresciano per molti elementi provinciale, rappresentava un vero e proprio esempio di trasmutazione dei valori. Londra del 1969 è la città che pur essendo ancora una specie di centro del mondo sta vivendo una significativa trasformazione: i Beatles si stanno sciogliendo, la beat generation, nella sua forma europea, è al tramonto. Ma è anche la città delle manifestazioni contro l’aggressione USA al Vietnam, è la città dove la minigonna impera, simbolo di una libertà psicologica ed etica che in Italia, ad esempio, è ancora, almeno in parte coartata, è la città delle più varie forme di individualismo. Butturini nel suo London by Gian Butturini realizza una notabile sintesi di queste diverse facce della città di Londra.

Altro tema caro a Gian è sempre stato dal 1970 al 2006 la realtà del terzo mondo. Nella sua ampia bibliografia, costituita da oltre trenta volumi, una parte significativa è proprio rappresentata da testi che ci parlano di Cuba, del Cile, del Chiapas, dell’India, del Sahara occidentale fino alle recentissime e inedite immagini sul Venezuela realizzate proprio poco prima di lasciarci.
Guardiamo alcune altre immagini proposte. Si pensi alle immagini, tragiche e limpide della violenta repressione delle autorità inglesi a Londonderry perpetrata dopo quella che è nota come la Domenica di sangue. Le immagini realizzate da Gian nel 1972 per il volume Dall’Irlanda... a Londonderry sono talmente chiare da testimoniare una volta di più che il vero responsabile di quella tragedia non fu certo l’IRA quanto le autorità ufficiali. Verità che è stata infine stabilita in modo indiscutibile dalla recente desecretazione di documenti ufficiali da parte delle stesse autorità inglesi.
Inutile qui ripercorrere tutte le altre tappe di Butturini fotografo, lasciamo a chi avrà voglia di andare a vedere la mostra il piacere di scoprire le immagini offerte all’attenzione del pubblico. Concludiamo segnalando l’esperienza realizzata nel 1975 quando Butturini si reca a Trieste e qui, riuscendo a creare un originale rapporto con Basaglia e la sua equipe, documenta il processo di smantellamento del manicomio di Trieste. Da questa lunga attività di ricerca nasce il volume Tu interni... io libero. Quell’esperienza che per alcuni ha rappresentato uno dei momenti più alti della ricerca di Butturini dal mio punto di vista costituisce qualche cosa di ben più ricco e diverso. A Trieste Butturini costruisce con Basaglia una vera e inedita dimensione di “affettività” intellettuale che fa di Gian una specie di allievo privilegiato del grande psichiatra goriziano. Butturini è stato insieme allievo, insolito collaboratore sanitario, testimone privilegiato, anomalo paziente dell’equipe di Trieste. Al di là del problema estetico della qualità delle immagini vi è qualche cosa che rende il caso che stiamo analizzando davvero particolare. Sarei portato a fare un paragone fra il lavoro di Carla Cerati Morire di classe e quello di Butturini Tu interni... io libero. La prima ha evidenziato nel suo magistero fotografico una capacità rara, che per altro ne ha fatto figura di primo piano della fotografia italiana contemporanea, di unire quel colpo d’occhio che è peculiare del fotografo di razza con un’attenta cura formale, forse in qualche momento fin estetizzante. Gian invece ha fotografato: “vivendo molto tempo insieme a loro, facendo parte dello scenario che apparteneva a loro...(realizzando) una fotografia senza fronzoli né formalismi... perché non si può fare estetica con il mondo del dolore”.
Questo mi pare il retaggio più significativo dell’esperienza che viene sintetizzata in questa Antologica e che in questa concezione di una partecipazione totale ad un’esperienza culturale e umana ben incarna il lievito intellettuale che giustamente ci fa parlare di quegli anni come di anni formidabili.

Giulio Toffoli






gian butturini
“incontrando l’umanità”


mostra antologica 1969-2006
a cura di Luciano Saladini e Ken Damy
in collaborazione con
l’associazione Amici di Gian e il Museo Ken Damy

Brescia – Loggia delle Mercanzie
Corsetto S. Agata 22

Apertura fino al 9 aprile 2009-03-11
Orario di apertura: dal martedì al sabato dalle 15.30 alle 19.30

Ingresso gratuito


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